Papa Francesco, in occasione della chiusura del Giubileo della Misericordia, ha rilasciato una lunga intervista (40 minuti) a Tv2000 e InBlu Radio. Il Pontefice, nel colloquio con il direttore di Rete, Paolo Ruffini e il direttore dell’Informazione, Lucio Brunelli, riflette sui frutti dell’Anno Santo straordinario (“Una benedizione del Signore”); su come dovrà cambiare la Chiesa, sul modo in cui la misericordia interpella le coscienze dei singoli e degli Stati, sull’idolatria del denaro e sull’attenzione verso i più poveri. Papa Francesco racconta quindi numerosi episodi legati ai suoi ‘Venerdì della Misericordia’ con ex prostitute, malati terminali, carcerati. Riflette sul rapporto fra giustizia e misericordia e sulla questione della pena di morte e dell’ergastolo. Con tono familiare e spontaneità risponde anche ad alcune domande personali. Su quale sia il segreto, ad esempio, perché il Papa non si ‘stressi’ pur vivendo giornate strapiene di impegni e occupate da tanti pensieri. E ancora dichiara la sua “allergia agli adulatori”, considerati più “molesti” dei detrattori e confida inoltre di recitare ogni giorno la preghiera di San Tommaso Moro, “donami Signore il senso dell’umorismo”.

L’intervista integrale

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D. – Santità, innanzitutto grazie per il tempo che ci concede: lo consideriamo un regalo a tutti i telespettatori di Tv2000. Con Lei vorremmo conversare del Giubileo che si è appena concluso. Il termine bilancio ha un suono commerciale, va bene per le aziende. Ma quali sono le Sue impressioni? E’ contento di come è stato vissuto il Giubileo? Quanto santo è stato, questo Anno Santo?

Papa Francesco:
Qualcuno mi chiedeva di fare un’intervista su un bilancio, più o meno, e io subito ho pensato al censimento del Re Davide, e ho avuto paura … [ride] [Re Davide fu punito da Dio con la peste per un censimento del popolo di Israele non ispirato dal Signore (2 Samuele 24) ndr]. Io soltanto posso dire le notizie che arrivano da tutto il mondo. Il fatto che il Giubileo non sia stato fatto soltanto a Roma, in ognuna diocesi del mondo, nelle diocesi, nella cattedrale e nelle chiese che il vescovo avesse indicato, quel fatto ha universalizzato un po’ il Giubileo. E ha fatto tanto bene. Ha fatto tanto bene. Perché era tutta la Chiesa che viveva questo Giubileo, era come un’atmosfera di Giubileo. E le notizie che vengono dalle diocesi parlano di avvicinamento alla Chiesa della gente, di incontro con Gesù, l’incontro … tante cose belle … Io dirò: è stato una benedizione del Signore e anche, non dirò il punto finale, ma un passo avanti grande del processo che è incominciato con il Beato Paolo VI, e poi San Giovanni Paolo II che ha fatto un accento molto forte sulla Misericordia: pensiamo ai tre fatti grandi, no?: l’Enciclica, il giorno della Divina Misericordia nell’ottava di Pasqua e la canonizzazione di suor Faustina. San Giovanni Paolo II ha fatto un passo grande. E poi, questo… E’ in una linea ecclesiale dove la Misericordia viene non dico scoperta, perché sempre c’era, ma viene proclamata fortemente: è come un bisogno, un bisogno. Un bisogno che credo che a questo mondo, che ha la malattia dello scarto, la malattia di chiudere il cuore, dell’egoismo, fa bene. Perché ha aperto il cuore e tanta gente si è incontrata con Gesù … Non so, questo è quello che penso sul Giubileo.

D. – E adesso, perché non finisca qui, cosa si aspetta? Come dovrebbe ancora cambiare, che frutto può lasciare nella Chiesa, questo Anno del Giubileo?

Papa Francesco:
Si è seminato tanto. E secondo la legge del Vangelo, il seme viene seminato ed è il Signore a dare la crescita. Io credo che il Signore farà crescere cose buone, semplici, quotidiane, nella vita della gente, non cose spettacolari, no.

D. – Ogni mese, di venerdì, Lei ha compiuto un’opera di misericordia andando a visitare un luogo di sofferenza e di accoglienza. Immagino quanti volti, quante storie abbiano attraversato la sua vita, in questo anno. Ce n’è una o più di una che Lei vuole ricordare in modo particolare, perché Le è rimasta, Le fa compagnia nel cuore?

Papa Francesco:
Penso a due, per dire che mi vengono adesso.. Quando ho visitato le ragazze che sono state tolte dallo sfruttamento della prostituzione. Ricordo una, dall’Africa: bellissima, giovanissima, sfruttata – era incinta – sfruttata ma anche con bastonate dure e torture: “Tu devi andare a lavorare” … E lei, quando raccontava la sua storia – c’erano 15 ragazze, lì, che mi raccontavano le storie, ognuna – mi diceva: “Padre, io ho partorito d’inverno sulla strada. Sola. Da sola. La mia bambina è morta”. La facevano lavorare fino a quel giorno, perché se non portava agli sfruttatori tanto, era bastonata, anche torturata. A un’altra avevano tagliato l’orecchio perché non aveva portato … Questo è … E ho pensato non solo agli sfruttatori, anche a quelli che pagavano le ragazze: ma non sanno loro che con quei soldi, per togliersi una soddisfazione sessuale, aiutavano gli sfruttatori?
L’altra, quel giorno che sono andato a vedere i due punti della vita, l’inizio e la fine: alla fine sono andato all’ospedale vicino al Gemelli, un ospedale che ha rapporto con il Gemelli, ma è per i malati terminali. Lo stesso giorno sono andato all’ospedale San Giovanni, al reparto maternità, e c’era una donna che piangeva, piangeva, piangeva davanti ai suoi due gemellini … piccolini, ma bellissimi: è morto il terzo. Ne erano tre, ma uno è morto. E piangeva per il figlio morto, mentre accarezzava questi due. Il dono della vita.. E ho pensato all’abitudine di mandare via i bambini prima della nascita, questo crimine orrendo: li mandano via perché è meglio così, perché sei più comodo, è una responsabilità grande – è un peccato gravissimo, no? – è una responsabilità grande … Questa, che aveva tre figli, piangeva per quello che era morto, non riusciva a consolarsi con i due che erano rimasti. L’amore della vita, in qualsiasi situazione … Mi è rimasto tanto grande … due cose che ho visto …

D. – Lei spesso ripete di desiderare una Chiesa povera per i poveri: è davvero possibile, e come? E riguarda la Chiesa come istituzione o poi riguarda in realtà anche ognuno di noi?

Papa Francesco:
La Chiesa come istituzione la facciamo noi, ognuno di noi; la comunità siamo noi. Il nemico più grande – più grande! – di Dio è il denaro. Pensate che Gesù al denaro dà status di signore, di padrone quando dice: “Nessuno può servire due padroni, due signori: Dio e il denaro”. Dio e le ricchezze. Non dice Dio e – non so – la malattia, o Dio e qualsiasi altra cosa: il denaro. Perché il denaro è l’idolo. Lo vediamo adesso, no?, in questo mondo dove il denaro sembra che comandi. Il denaro è uno strumento fatto per servire, e la povertà è al cuore del Vangelo e Gesù parla di questo scontro: due signori, due padroni. O io mi arruolo con questo o io mi arruolo con questo. Mi arruolo con questo, che è mio Padre; mi arruolo con questo, che mi fa schiavo. E poi, la verità: il diavolo sempre entra per le tasche, sempre. E’ la sua porta d’entrata. Si deve lottare per fare una Chiesa povera per i poveri, secondo il Vangelo, no? Si deve lottare. E quando io vedo Matteo 25, che è il protocollo sul quale noi saremo giudicati, capisco di più cosa significa una Chiesa povera per i poveri: le opere di misericordia, no?, in Matteo 25. E’ possibile, ma sempre si deve lottare perché la tentazione della ricchezza è molto grande. Sant’Ignazio ci insegna, negli esercizi, che ci sono tre scalini: il primo, la ricchezza che incomincia a corrompere l’anima; poi, la vanità, le bolle di sapone [lui dice: pompe di sapone, dallo spagnolo pompas de jabón ndr] una vita vanitosa, l’apparire, il figurare … e poi, la superbia e l’orgoglio. E da lì, tutti i peccati. Ma il primo scalino sono i soldi, la mancanza di povertà. Per questo non è facile, e bisogna continuamente, continuamente riflettere, esaminarsi…

D. – Una domanda personale, se è possibile: parlando di sé, Lei spesso si è definito un peccatore a cui il Signore ha guardato. Le volevo chiedere: quali sono le tentazioni di un Papa, e come spiegherebbe a chi non è credente, a chi non ha il dono della fede, questa esperienza di essere guardato dal Signore? Come la racconta, come la spiega?

Papa Francesco:
Ma, la tentazione del Papa sono le tentazioni di qualsiasi persona, di qualsiasi uomo. Secondo le debolezze di personalità, che il diavolo sempre usa per entrare, che sono l’impazienza, l’egoismo, poi un po’ di pigrizia.. può andare, ma entrano tutte, tutte … E le tentazioni ci accompagneranno fino all’ultimo momento, no? I Santi sono stati tentati fino all’ultimo momento, e Santa Teresa del Gesù Bambino diceva proprio che si deve pregare tanto per i moribondi perché il diavolo scatena una tempesta di tentazioni, in quel momento, no? E anche a lei: lei è stata tentata di sfiducia, di mancanza di fede, no? Secca [arida ndr] come una pietra … Ma è riuscita ad affidarsi al Signore, senza sentire niente, [arida ndr] e così ha vinto la tentazione, no? E diceva per questo è importante pregare per i moribondi. “La vita dell’uomo è una milizia sulla terra”, dice il libro, uno dei Sapienziali, no? E lottare per vincere le tentazioni. Sempre ci accompagneranno. Riguardo a quell’espressione, è un’esperienza, quella che io ho avuto, quel 21 settembre, che sono entrato in chiesa … io ero un giovane praticante, ma all’acqua di rose, eh? E ho visto un prete che non conoscevo, mi sono confessato e sono uscito diverso e sono cambiato. E da lì fino a oggi, il Signore continua a guardarmi con misericordia e a salvarmi. Così vivo la mia esperienza …

D. – Io Le volevo domandare una cosa sui carcerati. Lei, due settimane fa, ha ricevuto qui a Roma dei carcerati e ha detto di domandarsi spesso – e che dovremmo forse domandarcelo tutti – “perché non io, perché loro e non io?”. Eppure, molti cristiani fanno fatica a immedesimarsi in chi ha commesso dei delitti, magari gravi, delle cose gravi, hanno un po’ l’atteggiamento del figliolo maggiore della Parabola, no? E quindi la domanda è duplice: cosa dobbiamo dirci e cosa dobbiamo fare per capire questo, e l’altra se dobbiamo fare qualcosa anche nei confronti delle legislazioni: ci sono legislazioni che prevedono la pena di morte o l’ergastolo che in fondo è una condanna che non ha … è una prigione a vita che sembra non avere poi nessuna via d’uscita …

Papa Francesco:
La prima parte della domanda: io ho chiamato l’altro giorno, domenica scorsa, uno che conoscevo, nel carcere di Buenos Aires, gli ho domandato: “Come stai? Bene …” … Cerco, quando ho un po’ di tempo, di chiamare, telefonare ai carcerati che ho conosciuto quando visitavo, no?, perché ho questo sentimento: perché lui e non io? Se io … ma, il Signore ha motivi sufficienti per mandarmi in carcere, e lui ha coperto … Perché un reato non va punito alla fine, va punito quando incomincia, può essere punito quando incomincia e tanti inizi di cose brutte io ho avuto nella mia vita che se il Signore mi avesse tolto la mano di dosso … questo è “perché loro e non io?”. E poi, c’è un pensiero tra noi, che è un pensiero diffuso: ma, quello è in carcere perché ha fatto qualcosa di brutto: che la paghi. Il carcere come punizione. E questo non è buono. Il carcere – possiamo dire tra virgolette, per fare un esempio – è come un ‘purgatorio’, pensiamo, cioè per prepararsi alla reinserzione [al reinserimento]. Non c’è una vera pena senza speranza. Se una pena non ha speranza, non è una pena cristiana, non è umana. Per questo, la pena di morte non va. Sì, lei potrà dirmi, sì, nel Quattrocento, nel Cinquecento, uccidevano i criminali, la pena di morte, con la speranza di andare in paradiso c’era lì il cappellano che ti mandava in paradiso. Penso al grande don Cafasso, lì, vicino alla forca.. Ma era un’altra antropologia, un’altra cultura. Ma oggi non si può pensare così. Anche gli ergastolani, no? Dico questo: l’ergastolo, così freddo, è una pena di morte un po’ coperta. Ma nel caso di una persona che per le sue caratteristiche psicologiche non dia una garanzia di reinserimento? Ma ci sono forme di reinserirlo con il lavoro, con la cultura, all’interno di un certo regime di carcere, ma che lui si senta utile alla società, sorvegliato, ma l’anima è cambiata: non è quello che ha fatto il reato, un criminale, ma è uno che ha cambiato la sua vita e adesso fa qualcosa dentro il carcere che lo reinserisce e si sente con un’altra dignità, no? E questo è importante. Ma il muro – sia la pena di morte, sia l’ergastolo, così, come punizione – non aiuta. Non so se mi sono spiegato. E poi, una cosa che mi dà tanta tenerezza quando guardo – o guardavo, a Buenos Aires – la coda per entrare alla visita in carcere: le mamme. Donne che non hanno vergogna di fare la coda lì, davanti a tutta la città, perché passano i bus, passa la gente … “E’ mio figlio: io ci vado”. Quanto amore, eh? Una mamma … Anche spose che vanno lì e che subiscono tante umiliazioni per entrare; ma anche l’umiliazione di fare la coda davanti a tutto il mondo … “E’ il figlio, e io ci vado”. Questo, a me, ha fatto tanto bene e mi ha fatto domandare: “Io do la faccia per i miei fedeli, per i miei cristiani? O no?”. Per me è stato motivo di riflessione, mi ha fatto tanto bene vedere queste donne coraggiose.

D. – Santità, Lei ha detto che l’attitudine umana più vicina alla grazia divina è l’umorismo: un’affermazione che può sembrare un po’ strana, in bocca a un Papa … Perché? Forse perché bisogna aver ricevuto una grande grazia, un grande dono per essere capaci anche di sorridere dei propri difetti?

Papa Francesco:
Il senso dell’umorismo è una grazia che io chiedo tutti i giorni, e prego quella bella preghiera di San Tommaso Moro: “Dammi, Signore, il senso dell’umorismo” ; che io sappia ridere davanti a una battuta …: è bellissima, quella preghiera, no? Perché il senso dell’umorismo ti solleva, ti fa vedere il provvisorio della vita e prendere le cose con uno spirito di anima redenta. E’ un atteggiamento umano, ma è il più vicino alla grazia di Dio. Io ho conosciuto un prete – un grande sacerdote, un grande pastore, per citarne uno – che aveva un senso dell’umorismo grande, ma faceva tanto bene anche con quello, perché relativizzava le cose: “L’Assoluto è Dio, ma, questo si arrangia, si può … stai tranquillo …”; ma senza dirlo così, sapeva farlo sentire, con il senso dell’umorismo. E di lui si diceva: “Ma questo, sa ridere degli altri, di se stesso, anche della propria ombra …”. E’ quella capacità di essere … di essere un bambino davanti a Dio. Lodare il Signore con un sorriso e anche una battuta ben fatta …

D. – Una delle opere di misericordia spirituale, raccomandate dal Catechismo cattolico, che Lei ha ricordato anche mercoledì all’udienza generale, è sopportare con pazienza le persone moleste – che non mancano mai, Lei ha detto mercoledì … Lei cosa fa più fatica a sopportare: gli insulti dei Suoi detrattori o la finta ammirazione degli adulatori?

Papa Francesco:
Il secondo ! Io ho allergia degli adulatori. Ho allergia. Mi viene naturale, eh?, non è virtù. Perché adulare un altro è usare una persona per uno scopo, nascosto o che si veda, ma per ottenere qualcosa per se stesso. Anche, è indegno. Noi, a Buenos Aires, nell’argot porteño nostro, gli adulatori li chiamiamo “lecca calze” [leccapiedi], e la figura è proprio di quello che lecca le calze dell’altro. E’ brutto masticare le calze dell’altro, perché … è un nome ben fatto… E anche a me, quando mi lodano, anche qualcuno che mi loda per qualcosa che è uscita bene: ma subito, tu ti accorgi chi ti loda lodando Dio, “ma, sta bene, bravo, avanti, questo si deve fare!”, e chi lo fa con un po’ di olio per farsi … I detrattori, ma … i detrattori parlano male di me, e io me lo merito, perché sono un peccatore: così mi viene di pensare [ride]. Quello non mi fa pensare, non mi preoccupa. Ma non te lo meriti per questo! No. Però, per quello che lui non sa. E così risolvo il problema. Ma l’adulatore è … non so come si dice in italiano, ma è come l’olio …

(intervistatore)
… viscido …

Papa Francesco:
Ecco.

D. – Cosa risponde a chi, anche tra i cristiani, pensa che la misericordia allarghi le maglie della giustizia e quindi sia ingiusta, a chi pensa che la misericordia non possa essere la risposta – per esempio – a chi ci perseguita o chi, magari anche per una paura giustificata, costruisce muri per difendersi invece che ponti? Di nuovo viene da dire che è poi l’atteggiamento, forse, del figliolo maggiore della Parabola … Insomma, cosa si può rispondere a chi anche tra i cristiani pensa questo?

Papa Francesco:
Sì … alla fine c’è il problema della rigidità morale, dietro a questo, no? Il figlio maggiore era un rigido morale: “Questo ha speso i soldi in una vita di peccato, non merita di essere ricevuto così”. La rigidità: sempre il posto del giudice. Quella rigidità che non è quella di Gesù. Gesù rimprovera i dottori della Chiesa: tanto, tanto contro la rigidità. Un aggettivo dice loro, che io non vorrei che fosse detto a me: ipocrita. Quante volte Gesù dice questo aggettivo ai dottori della legge: ipocriti. Basta leggere il capitolo 23 di Matteo: “Ipocrita”. E fanno la teoria che ma, la misericordia sì.. ma la giustizia è importante! In Dio – e anche nei cristiani, perché è in Dio – la giustizia è misericordiosa e la misericordia è giusta. Non si possono separare: è una cosa sola. E come si spiega? Ah … vai da un professore di teologia che te lo spieghi … [ride] E dopo il sermone della montagna, nella versione di Luca, viene il sermone della pianura. E come finisce? Siate misericordiosi come il Padre. Non dice: siate giusti come il Padre. Ma è lo stesso! Giustizia e misericordia in Dio sono una sola cosa. La misericordia è giusta e la giustizia è misericordiosa. E non si possono separare. E quando Gesù perdona Zaccheo e va a pranzo con i peccatori, perdona la Maddalena, perdona l’adultera, perdona la Samaritana, cosa è, un manica-larga? No. Fa la giustizia di Dio, che è misericordiosa.

D. – E l’altra domanda che Le volevo fare è se l’esperienza della misericordia ci obbliga a dire qualcosa anche al mondo delle istituzioni, della politica, degli Stati? Cioè, c’è anche questa valenza?

Papa Francesco:
Ma, io soltanto dirò una parola che ho imparato da un anziano sacerdote. E mi viene di dirgli anziano, ma ha quattro anni meno di me, ma per me è un anziano, perché è saggio. E’ curioso: io mi sento piccolo, giovane davanti a lui perché lui ha quella saggezza dell’anzianità. E lui mi ha insegnato una parola sulla malattia di questo mondo, di questa epoca, di questo tempo: la cardiosclerosi. Credo che la misericordia sia la medicina contro questa malattia, la cardiosclerosi, che è proprio alla base di questa cultura dello scarto: “Ma, questo non serve; questo anziano, ma, alla casa di riposo; questo bambino che viene, no, no, no: mandiamolo al mittente …”, e si scartano. “No, dobbiamo prendere [colpire ndr] questa città nella guerra; quell’altra?” – “Ma, buttiamo le bombe, dove [ovunque] cadano: sull’ospedale, sulle scuole … “: sono gente da scartare, no? E alla base di questa cultura dello scarto c’è la cardiosclerosi, che credo sia una delle malattie più gravi di questo momento. L’incapacità di sentire tenerezza, di avvicinarsi…il cuore duro…“Io devo andare su quello scopo e non mi interessa l’altro: io ci vado”. E non penso a tante brutte che si fanno sulla strada per andare lì. Non so se ho risposto alla sua domanda, perché l’ho sentita e sono partito in quarta su questa strada …

D. – Sempre sulla misericordia, c’è questo doppio binario per cui uno può pensare: no, riguarda gli altri o riguarda me stesso … In qualche modo, quanto può riguardare – appunto – il rapporto tra gli Stati? Come si può costruire un mondo più misericordioso?

Papa Francesco:
Pensiamo in questa terza guerra mondiale che stiamo vivendo, perché è la terza guerra mondiale a pezzetti, no?: qui, qui, qui … ma siamo in guerra; le armi si vendono e le vendono i fabbricanti e i trafficanti di armi. E anche le vendono alle due parti in guerra, perché si guadagna, no?, con il traffico delle armi … E lì c’è una durezza di cuore molto grande: manca tenerezza. Il mondo di oggi ha bisogno di una rivoluzione della tenerezza. “Ma, Dio …”: fermiamoci. Dio si è fatto tenero, Dio si è avvicinato. Paolo dice ai Filippesi: “Gesù ha svuotato se stesso per avvicinarsi, si è fatto uomo come noi”. Quando parliamo di Cristo, non dimentichiamo la carne di Cristo. E questo mondo ha bisogno di questa tenerezza che dice alla carne di accarezzare la carne sofferente di Cristo, non [di ndr] fare più sofferenze! Credo che gli Stati che sono in guerra devono pensare bene che una vita vale tanto, e non dire: “Ma una vita non importa, mi importa il territorio, mi importa questo …”. Una vita vale più di un territorio! E per i fabbricanti di armi, per i trafficanti di armi la cosa che meno vale è una vita. Questa è una parola che mi diceva un tedesco: “Heute, das Billigste ist das Leben (Das Billigste, heute, ist das Leben)”. [Oggi, la cosa che costa meno è la vita]

D. – L’ultima domanda, Santità: tra un mese compirà 80 anni …

Papa Francesco:
Chi? Io? [ride, ridono]

D. – Lei … Le sue giornate, lo vediamo, sono sempre strapiene di impegni, i pensieri sicuramente non Le mancano … Delle volte La vediamo stanco, eppure – se si può usare un termine così con un Papa – non La vediamo mai stressato, come lo siamo in molti noi, che viviamo in questa società dove lo stress e anche la depressione sono malattie sociali. La domanda che viene – ma sincera – è: come fa? C’è un segreto che può condividere con noi?

Papa Francesco:
C’è un the speciale? [ride, ridono] Non so come faccio, ma … io prego: quello mi aiuta tanto. Prego. La preghiera è un aiuto per me, è stare con il Signore. Celebro la Messa, prego il Breviario, parlo con il Signore, prego il Rosario … Per me, la preghiera aiuta tanto. Poi, dormo bene: è una grazia del Signore, questa. Dormo come un legno. Il giorno delle scosse del terremoto, non ho sentito nulla, eh? Tutti hanno sentito, il letto che ballava … No, davvero, dormo sei ore ma come un legno. Forse questo aiuta la salute … Ho le mie cose, no? Il problema della colonna che va bene, per il momento … e faccio quello che posso e non di più: in quel senso, mi misuro un po’, no? Ma non so cosa dirle: è una grazia del Signore … non so …

D. – Grazie, Santità, e auguri, in anticipo …

Papa Francesco:
E grazie a voi per quello che fate con la comunicazione e la proclamazione della Parola del Signore, le testimonianze cristiane, della vita della Chiesa, della vita della gente, della vita dei poveri, della vita di quelle persone che hanno più bisogno del nostro aiuto. E non dimenticate che la malattia più grossa, oggi, è la cardiosclerosi e che ci vuole una rivoluzione della tenerezza.

20 Novembre 2016

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