La pioggia di petali al Pantheon nella Pasqua delle rose
Nel giorno di Pentecoste, in cui la Chiesa ricorda la discesa dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli riuniti nel Cenacolo a Gerusalemme, si ripete a Roma la tradizione dei petali di rosa del Pantheon. Questo appuntamento ha radici antichissime anche se è stato ripristinato solo nel 1995 e vedrà domenica 15 maggio (verso le ore 12) alcuni Vigili del Fuoco arrampicarsi fin sulla cupola del tempio romano, affacciarsi dall’Oculus centrale e da un’altezza di 40 metri far cadere migliaia di petali di rose sui fedeli che all’interno avranno appena assistito alla Messa. La Pentecoste è anche chiamata Pasqua delle rose perché nel passato, soprattutto in Italia, si usava rappresentare la discesa dello Spirito Santo proprio attraverso una pioggia di petali di rosa.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il grandioso tempio romano fatto ricostruire nelle forme attuali dall’imperatore Adriano, fin dal VII secolo è una chiesa, dedicata a tutti i martiri. Nel 608, infatti, l’imperatore di Bisanzio Niceforo Foca dona il Pantheon a Papa Bonifacio IV (a ricordo di questa donazione venne eretta nel Foro Romano una colonna, tuttora presente); la consacrazione avvenne il 13 maggio del 609 con dedica a Santa Maria ad Martyres: il tempio di tutti gli dei diventava la chiesa di tutti i martiri. Per l’occasione Bonifacio IV fece trasportare dalle catacombe romane moltissime reliquie di martiri, fino a riempire 28 carri, che fece poi seppellire sotto la Confessione della nuova chiesa. La cerimonia fu solenne: le porte contrassegnate con la croce si spalancarono e nella grande sala risuonarono per la prima volta canti cristiani mentre il Papa in processione aspergeva di acqua santa le antiche pareti marmoree. Alle note del Gloria in excelsis – e qui la tradizione popolare si mischia a leggenda – si alzarono in volo schiere di demoni terrorizzati, che cercavano di uscire dall’apertura della cupola. Il loro numero era pari a quello delle divinità pagane che avevano abitato nel tempio.
L’antichità, la bellezza e il carattere sacro della nuova chiesa fecero sì che “la Rotonda” – come veniva chiamata dal popolo romano – divenisse uno dei luoghi più rappresentativi della città; restò sempre di proprietà dei papi e per capire con quale cura essi la conservarono, basterebbe pensare che nel XIII secolo S. Maria Rotonda faceva parte di quei luoghi, come S. Pietro e Castel Sant’Angelo, che ogni senatore romano doveva giurare di difendere e proteggere in nome del papa.
La costruzione originaria risale a Marco Vipsanio Agrippa che come ex voto per la vittoria sui persiani fece erigere tra il 27 e il 25 a.C. un tempio dedicato a tutti gli dei. In seguito a un incendio venne ricostruito tra il 118 e il 125 dall’imperatore Adriano che gli diede la forma attuale. Del tempio originario, che occupava l’area dell’attuale pronao, rimane l’architrave con l’iscrizione (Marco Agrippa figlio di Lucio console per la terza volta fece).
La facciata è formata da otto colonne monolitiche di granito grigio alte 12,5 metri e 4,5 metri di circonferenza. Quattro file di due colonne di granito rosa dividono il pronao in tre navate; quelle laterali terminano con due grandi nicchie dentro le quali erano le statue colossali di Augusto e di Agrippa. La rotonda (la cella del tempio) è formata da un muro cilindrico alto 30 metri dalla struttura variabile: più leggera man mano che si avvicina alla cupola. Questa è la più grande mai costruita in muratura e fu eseguita sopra un’armatura di legno in una sola gettata di calcestruzzo. L’altezza dal pavimento alla sommità della cupola è uguale al diametro della cella: 43,30 metri. Nel corso dei secoli, pur rimanendo nella sua struttura intatto, il Pantheon subì due spoliazioni: la prima nel 663 ad opera di Costante II, imperatore d’Oriente, che ne asportò le tegole di bronzo dorato durante la sua visita a Roma, e nel 1625 quando Urbano VIII Barberini fece rimuovere il cassettonato bronzeo del soffitto del pronao per far realizzare al Bernini il baldacchino di San Pietro. La famosa statua parlante Pasquino, in questa occasione sentenziò con la famosa frase: “Quello che non fecero i barbari, fecero i Barberini”.
Sull’altare maggiore è presente un’antichissima icona mariana del sec. VII-VIII, contemporanea alla dedicazione del Pantheon alla Regina dei martiri voluta da Bonifacio IV. La mano destra della Madonna tocca il ginocchio del Bambino, gesto nel quale si sottolinea la mediazione di Maria rispetto a Cristo, è dipinta in oro: è infatti la mano che elargisce salvezza.
Nella Cappella della Madonna della Clemenza, un affresco di scuola umbro laziale del XV secolo raffigura la Madonna col Bambino in trono tra S. Francesco e S. Giovanni Battista. È detta anche Madonna della cancellata perché in origine era situata in una nicchia del pronao, protetta da un cancello. Fu collocata in questa cappella nel 1837.
Una terza immagine mariana arricchisce l’interno del Pantheon: è la Madonna del Sasso, commissionata da Raffaello Sanzio per la sua tomba ed eseguita nel 1523-1524 da Lorenzo Lotti, detto Lorenzetto. E proprio dal 1520, anno in cui vi fu seppellito Raffaello, il Pantheon divenne luogo di sepoltura di numerosi artisti come Baldassarre Peruzzi, Taddeo Zuccari, Perin del Vaga, Flaminio Vacca.
Come ogni chiesa che si rispetti, anche la Rotonda aveva il suo bel campanile: dal 1270 ne venne aggiunto uno proprio al centro del frontone che Urbano VIII sostituì con due campanili laterali realizzati dal Bernini e soprannominati dal popolo romano “orecchie d’asino”. Con Roma italiana divenne dal 1878, data di sepoltura di Vittorio Emanuele II, sacrario reale. Nel 1883 vennero abbattuti i campanili e negli anni seguenti vi furono sepolti Umberto I nel 1900 e la Regina Margherita nel 1926.
Mauro Monti
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14 Maggio 2016