S. Lorenzo, le stelle e una chiesa che vale per due
È la notte delle stelle cadenti, dei nasi all’insù, della paziente attesa di una tenue scia nel cielo nero alla quale affidare velocemente i propri desideri. È la notte di San Lorenzo, diacono martire al tempo di Valeriano, il cui corpo è custodito a Roma in una chiesa che in realtà vale per due: la Basilica del Verano.
Lorenzo era un diacono e il suo compito era quello di distribuire le offerte ai poveri di Roma. Alla richiesta dell’imperatore Valeriano di consegnargli tutti i tesori di cui aveva sentito parlare, Lorenzo chiamò a raccolta quanti più poveri poté e li radunò davanti all’imperatore esclamando: “Ecco qui tutti i nostri tesori! Non diminuiscono mai, anzi fruttano sempre e li puoi trovare dappertutto!”. Valeriano sopraffatto dall’ira emise la sentenza di morte: doveva finire sui carboni ardenti con una graticola come ultimo letto. Era il 10 agosto del 258.
Nel 330 l’imperatore Costantino eresse, sopra il suo sepolcro, una basilica di piccole proporzioni, per non danneggiare troppo la necropoli cristiana, di dimensioni pari a quelle dell’attuale coro. La chiesa aveva il secondo ordine di galleria (o matroneo) e l’ingresso sul lato opposto all’odierno. Costantino decorò la piccola basilica , ornò la tribuna di porfido, chiuse la parte superiore del sepolcro di S. Lorenzo «con cancelli di finissimo argento che pesavano mille libbre. Et innanzi a questo luogo pose una lucerna d’oro purissimo con dieci bocche che era di peso di venti libbre».
Presso questo tempio primitivo sorsero ben presto numerosi edifici sacri: la chiesa di S. Stefano Protomartire e di S. Agapito; l’oratorio dei Ss. Abbondio e Ireneo e quello di S. Ciriaca; la basilica di S. Ippolito con varie cappelle. Accanto a queste costruzioni religiose sorsero anche alcune abitazioni e un grande ospizio per i poveri. Tutti questi fabbricati formavano una specie di cittadella, detta Laurenziopoli, che fu poi racchiusa all’interno di un muraglione.
Sisto III restaurò l’edificio nel V secolo costruendo vicino alla chiesa, ad un livello superiore, un altro tempio di più vaste proporzioni per contenere il gran numero di fedeli che partecipavano alle funzioni religiose. La nuova basilica aveva l’ingresso sulla Via Tiburtina ed era orientata in maniera opposta alla precedente tanto che le due absidi esternamente quasi si toccavano. Il tempio antico prese il nome di basilica ad corpus mentre il nuovo fu chiamato basilica maior. I più antichi documenti liturgici del giorno di S. Lorenzo distinguono chiaramente due Messe da celebrarsi nelle chiese contigue: Missam primam o ad corpus e Missam publicam o Missam maiorem celebrata nella chiesa più grande.
La basilica costantiniana fu riedificata da Pelagio II ed indicata con l’appellativo di “nuova” mentre quella maggiore ormai cadente e devastata dalle calamità, fu restaurata ed abbellita nel corso dei secoli fino all’VIII quando, sotto il pontificato di Leone IV, fu dedicata alla Beata Vergine Maria. Al culto di Lorenzo si univa quello di Stefano, Arcidiacono della Chiesa di Gerusalemme, che come protomartire godeva di una venerazione particolare. I suoi resti mortali che si trovavano a Costantinopoli, furono portati a Roma proprio da Pelagio II che li aveva deposti nello stesso sarcofago in cui erano custodite le spoglie di Lorenzo.
Si arriva dunque all’XI secolo quando, secondo alcune fonti, Pasquale II congiunse le due basiliche, anticipando l’opera che la maggior parte degli storici ascrive al pontificato di Onorio III, che comunque fece eseguire importanti lavori di rifacimento e rafforzamento tra i quali la sostituzione degli archi, l’architrave e il portico esterno. I lavori della fusione procedettero tra mille difficoltà dovute essenzialmente ai piani diversi sui quali erano costruite le due chiese. La basilica ad corpus e poi pelagiana, diventò l’abside della basilica maior. Si alzò il pavimento della prima realizzando un grande palco marmoreo che funge ora da presbiterio. Al di sotto venne realizzata una grande cripta in cui fu sistemata la tomba di S. Lorenzo sulla quale fu costruito l’altare papale coperto dalla più antica opera firmata da marmorati romani: il ciborio realizzato nel 1148 da Giovanni, Pietro, Angelo e Sasso, figli di Paolo.
L’opera era finalmente compiuta: sul sepolcro del Martire Lorenzo sorgeva un’unica e grandiosa basilica.
Durante i lavori di Pasquale II fu eseguito anche il pavimento cosmatesco della navata centrale e del presbiterio. Nel XII secolo furono costruiti anche il campanile, elevato forse sulla base di una torre preesistente, e il chiostro. Era collegata attraverso un lungo portico, inoltre, di cui si aveva ancora notizia nel XVII secolo, alla Porta Tiburtina delle Mura Aureliane (allo stesso modo della Basilica di S. Paolo con la Porta Ostiense).
Si succedettero numerosi altri restauri, fino a quelli eseguiti sotto Pio IX ad opera dell’architetto Virginio Vespignani e dell’archeologo G. B. De Rossi. La chiesa fu isolata dalla collina che la sovrastava e fu creato un ampio piazzale al centro del quale venne elevata una colonna di granito rosso egiziano che raggiunge, compresa la statua di S. Lorenzo in bronzo modellata dallo scultore Stefano Galletti, i 24 metri di altezza, seconda solo alla colonna dell’Immacolata.
Il 19 luglio 1943 durante un’incursione aerea americana, una bomba di grosso calibro cadde sulla chiesa provocando distruzione e rovina. Il portico, la facciata e la parte anteriore della grande navata furono distrutti. Ci vollero più di 5 anni di studio e di paziente lavoro per poter far risorgere dalle rovine il grande tempio. Ultimati i lavori fu riaperta al culto il 10 agosto 1948.
Sotto il portico si aprono le tre porte d’ingresso; due leoni in pietra del XIII secolo stanno a guardia della porta principale. Le pareti sono ricoperte di affreschi che narrano la storia di S. Lorenzo, di S. Stefano e della basilica e rappresentano, nonostante i ripetuti restauri, un importante ciclo di pitture pregiottesche.
A sinistra è presente un grande sarcofago del VI secolo su cui sono scolpite a bassorilievo scene di vendemmia; dall’altra parte il monumento marmoreo in memoria del’opera instancabile di Pio XII per salvare Roma dalla rovina durante la guerra. Addossato alla parete destra un sarcofago, opera cristiana del IV secolo con scene bibliche abbozzate: è formato da elementi di epoche diverse e così ricomposto nel XV secolo. Nel centro della parete di sinistra il monumento funebre di Alcide De Gasperi eseguito dallo scultore Giacomo Manzù.
L’interno come abbiamo già detto, presenta due ambienti distinti: uno a tre navate con 22 colonne e l’altro costituito da un presbiterio rialzato con 10 colonne.
Sotto l’altare papale si scende nella Confessione; sull’architrave dell’ingresso un’iscrizione rivela che in essa sono conservati i corpi di S. Lorenzo, di S. Stefano Protomartire e di S. Giustino. Nel centro è la tomba del XII secolo formata da una piattaforma, con finestrelle, sulla quale si eleva il tumulo marmoreo decorato con mosaici duecenteschi. Quattro colonnine fiancheggiano il sarcofago circondato da un’inferriata. Altre quattro colonne fiancheggiano il piccolo altare ad corpus. Nella parte posteriore in una nicchia esterna si conserva una grande lastra forata di marmo sulla quale sono presenti larghe macchie rossicce: Pio IX le fece analizzare e furono identificate per sangue e grasso umano, per cui si pensò che la lastra doveva provenire dalle Terme di Olimpia al Viminale dove in genere si svolgevano i supplizi del fuoco.
Il nartece fu trasformato nel 1882 in cappella per custodire i resti di Pio IX, il grande restauratore della basilica che volle essere sepolto qui. Il trasporto della salma dal Vaticano avvenne nella notte tra il 12 e il 13 luglio 1881 e fu funestato da disordini provocati da gruppi di anticlericali che tentarono di buttare il feretro nel Tevere. Ma le forze dell’ordine ebbero la meglio.
Un ultimo sguardo lo merita il raccolto chiostro romanico del XII secolo dalle pareti tappezzate di innumerevoli frammenti di iscrizioni e di sculture di varie epoche; nel corso dei secoli ha subito vari restauri ma è arrivato fino a noi nella sua struttura originale e oggi possiamo fermarci qui nel silenzio, prima di riprendere il nostro cammino.
Mauro Monti
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9 Agosto 2016