San Gregorio al Celio, luogo di carità e misericordia
Salendo dal Circo Massimo verso il Celio, su una strada antichissima che esisteva già al tempo dei romani, ci imbattiamo quasi subito, sulla destra, in un’alta scalinata dominata dalla mole della chiesa di San Gregorio. Non facciamoci ingannare dall’aspetto barocco: la sua fondazione, infatti, risale a molti secoli prima ed è dedicata ad uno dei più grandi papi della storia della Chiesa: San Gregorio Magno.
Gregorio nacque a Roma intorno al 540 da una ricca famiglia patrizia, quella gens Anicia che aveva dato alla Chiesa già due papi: Felice III (483-492), suo trisavolo, e Agapito (535-536), e la casa in cui Gregorio crebbe sorgeva proprio qui, sul Clivus Scauri, una strada che sembra sospesa nel tempo.
Raggiunte le più alte cariche amministrative della città Gregorio sentì la necessità di ritirarsi nella sua casa ed iniziare la vita di monaco, trasformando l’abitazione di famiglia nel monastero di Sant’Andrea al Celio. Ma questo ritiro claustrale non durò a lungo: dopo essere stato chiamato da Papa Pelagio II, che lo scelse come collaboratore e segretario, in seguito ad una peste che uccise lo stesso Papa, fu scelto unanimemente dal clero, dal popolo e dal senato come successore di Pietro. Era l’anno 590.
Accanto all’azione spirituale e pastorale, Papa Gregorio portò avanti un’importante attività sociale nei confronti dei poveri e dei più bisognosi: utilizzò le rendite del patrimonio della Chiesa per comprare e distribuire grano alla popolazione; aiutò sacerdoti, monaci e monache che vivevano nell’indigenza, riscattò anche molti cittadini dalla prigionia dei Longobardi e comprò armistizi e tregue. Riorganizzò, inoltre, la vita amministrativa della Chiesa facendo in modo che i beni fossero gestiti con rettitudine e secondo le regole della giustizia e della misericordia.
Entriamo dunque nella sua casa, passando per un bellissimo atrio realizzato in stile barocco nel 1630 da G. B. Soria nel quale sono presenti una serie di antiche tombe, alcune delle quali risalgono al Rinascimento. Se chiuso, suonate senza indugio e chiedete di visitare l’interno. Ci accoglie un caratteristico ambiente Settecentesco, luminoso e sobrio, ravvivato dal festoso affresco della volta: la Gloria dei Ss. Gregorio e Romualdo e il Trionfo della Fede di P. Costanzi. Rimangono le 16 colonne che fiancheggiano i pilastri e il pavimento cosmatesco a ricordare l’antica struttura.
In fondo alla navata destra è presente la stanza di San Gregorio, dove il Santo avrebbe dormito, per penitenza, appoggiato alla pietra che ora possiamo osservare dietro ad una grata. È presente anche il trono episcopale del papa mentre nella vicina abside è conservata una pala d’altare del XVII secolo con la figura del Santo. I tre bassorilievi dell’altare sono rinascimentali ed opera dello scultore Luigi Capponi; in uno è raffigurato il famoso episodio di San Gregorio e Traiano, narrato anche da Dante nel X Canto del Purgatorio
Quiv’era storïata l’alta gloria
del roman principato, il cui valore
mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
i’ dico di Traiano imperadore;
e una vedovella li era al freno,
di lagrime atteggiata e di dolore.
Il pontefice essendosi convinto che Traiano fosse stato un uomo giusto e retto, chiese a Dio la salvezza dell’anima dell’imperatore anche se era stato un pagano; per ottenerla offrì a Dio durissime penitenze.
Proprio per i particolari bassorilievi presenti, questo altare è chiamato “delle 30 Messe”. L’origine di questa prassi (30 Messe consecutive in suffragio di un defunto) è contenuta negli scritti di san Gregorio Magno e più precisamente nel IV libro dei Dialoghi nei quali viene narrato di un monaco morto senza riconciliazione con la Chiesa dopo aver commesso un grave peccato contro la povertà. Dopo trenta giorni durante i quali era stata celebrata per lui una Messa quotidiana di suffragio, apparve ad un confratello annunciando la sua liberazione dalle pene del purgatorio.
In fondo alla navata sinistra entriamo nella Cappella Salviati decorata a fresco da G. B. Ricci negli ultimi anni del ‘500. Oltre ad un altare del ‘400 scolpito da Andrea Bregno, si trovano due Madonne del Medioevo: due affreschi posizionati uno sull’altare di destra – la Madonna che secondo la tradizione parlò a S. Gregorio – e l’altro in una intercapedine delle antiche mura.
Uscendo dalla chiesa, scesi pochi gradini, entrando per un cancello sulla destra, si apre davanti ai nostri occhi un giardino con pini e cipressi, sullo sfondo del quale stanno tre cappelle affiancate.
La cappella centrale è quella di Sant’Andrea, forse la chiesetta primitiva fondata da San Gregorio, decorata da due celebri affreschi: a destra la Flagellazione di Sant’Andrea del Domenichino e a sinistra Sant’Andrea condotto al supplizio di Guido Reni.
La cappella di Santa Silvia a destra è dedicata alla madre di San Gregorio, ed è affrescata nell’abside con il Concerto d’Angeli di Guido Reni.
La cappella di sinistra (Santa Barbara) è detta anche del Triclinio. Secondo la tradizione San Gregorio serviva qui personalmente il pranzo a dodici poveri della città proprio sul tavolo di pietra che ancora oggi è situato nel mezzo. Un giorno un tredicesimo commensale si aggiunse alla mensa: era un Angelo. L’episodio insieme ad altre scene sacre è ricordato nell’affresco di Antonio Viviani, mentre la statua del Santo è un’opera seicentesca del francese Nicolas Cordier.
Mauro Monti
Qui tutti gli altri itinerari del Pellegrino: www.tv2000.it/diariodiunpellegrino
3 Settembre 2016