San Silvestro in Capite, l’Immagine Edessena e la testa del Battista
Questa antichissima chiesa, fondata da Paolo I nell’VIII secolo nella casa di famiglia dove era nato e cresciuto, sorge sui resti del grandioso Tempio del Sole fatto erigere dopo la riconquista di Palmira nel 273 d.C. dall’imperatore Aureliano. Il pontefice volle dedicarla ai Santi Silvestro e Stefano ma in seguito Silvestro rimase il solo eponimo, insieme all’appellativo “in Capite” perché qui si conserva una delle reliquie cristiane più venerate: la testa di San Giovanni Battista.
Accolse fin da subito, come avveniva abitualmente in quei tempi, numerose reliquie provenienti dalle catacombe per preservarle in questo modo dai saccheggi; ai lati dell’ingresso sono murate due lapidi marmoree dell’VIII secolo sulle quali sono elencate le feste relative ai santi e ai martiri i cui resti furono traslati in San Silvestro.
Oltre al capo di San Giovanni Battista un’altra importante reliquia era presente in questa chiesa: l’Immagine Edessena, miracolosa vera imago del volto di Cristo. “Era” perché proprio l’immagine acherotipa, non dipinta da uomo, del Cristo, custodita qui dal XIII secolo, nel 1869 fu trasferita dal papa in Vaticano prima che l’esercito sabaudo entrasse a Roma dalla breccia di Porta Pia.
Sulla facciata sono presenti quattro statue di San Silvestro papa, Santo Stefano, San Francesco e Santa Chiara e rilievi marmorei raffiguranti l’Immagine Edessena e il Capo del Battista. Il cortile quadrangolare, al quale si accede da un portale con cornice del XIII secolo, è un vero e proprio museo lapidario con lastre tombali e pezzi scultorei provenienti dalla chiesa sconsacrata dei Santi Simone e Giuda a Montegiordano, dall’attiguo monastero e dalla chiesa stessa in seguito ai lavori per l’apertura della Confessione. Tra le numerosi lapidi, è molto interessante quella che attesta la proprietà della Colonna di Marco Aurelio da parte del convento: nella lunghissima epigrafe, risalente al 1119, la colonna è erroneamente indicata come Antonina. La struttura inizialmente fu affidata ai monaci greci Basiliani per poi passare nel XII secolo ai Benedettini. Nel 1285 vi si trasferì un gruppo di Clarisse, ordine che lo occupò fino all’esproprio, attuato tra il 1871 e il 1873. In una piccolissima porzione vi si stabilirono i padri Pallottini, ai quali è affidata la chiesa, mentre il resto fu adattato prima a ministero dei lavori Pubblici e poi a Palazzo delle Poste, una funzione che ancora oggi conserva.
Entrando nella chiesa, ci accoglie un endonartece decorato da affreschi settecenteschi, sovrastato dal coro delle monache e dall’organo. La chiesa subì nel corso dei secoli numerosi rifacimenti; nel 1594 Francesco Capriani da Volterra la ricostruì adottando una soluzione architettonica (cupola ellittica sostenuta da quattro pilastri e transetto poco sporgente) già da lui sperimentata nelle chiese di Santa Pudenziana e San Giacomo in Augusta; i lavori furono portati a termine da Carlo Maderno. La decorazione, progettata nel 1680 da Carlo Rainaldi, fu terminata da Domenico De Rossi. L’affresco della volta della navata, opera di Giacinto Brandi, raffigura la Vergine Assunta con i Santi Silvestro e Giovanni Battista in una gloria di angeli e santi; è un’opera, questa, ispirata al Baciccia, che l’artista realizzò dopo la decorazione della chiesa di San Carlo al Corso.
Nella seconda cappella a destra è presente una pala d’altare di notevole interesse: raffigura le Stimmate di San Francesco ed è opera di Orazio Gentileschi.
Addossato all’abside è il monumentale altare maggiore: in forma di arco trionfale accoglieva l’Immagine Edessena, dipinta ad olio su marmo. Per il suo progetto venne interpellato Michelangelo il quale preparò dei progetti anche per due tombe posizionate ai lati dell’abside. L’opera fu realizzata dal Rosselli. Nel 1686 Rainaldi aggiunse il tabernacolo in marmi policromi.
Nella confessione, risalente ai restauri novecenteschi, sono presenti i resti del basamento della chiesa e delle lastre di marmo che segnano il piano di calpestio dell’VIII secolo. Le decorazioni della cupola ovale sono opera del Pomarancio.
Un piccolo ambiente che si affaccia sulla navata, a sinistra, e che funge da ingresso laterale su via del Gambero, custodisce il prezioso reliquiario in argento dorato con la testa del Battista. Lo stemma del cardinale Angelo Acciaioli ne permette la datazione: 1391.
Sono diverse le chiese nel mondo che si contendono i resti della testa del Battista: tre in Francia, a Damasco nella Grande Moschea degli Omayyadi (un tempo chiesa dedicata al Battista) e appunto Roma. Recentemente un docente di Oxford, il professor Thomas Higham, ha datato con la prova del “Carbonio 14” alcuni resti (anche la parte anteriore di un cranio) provenienti da una piccola isola bulgara sul Mar Nero chiamata Sveti Ivan (che in bulgaro significa appunto San Giovanni). Ebbene: risalirebbero al I secolo, appartengono tutti allo stesso uomo e contengono elementi chimici che dimostrano la loro provenienza dal Medio Oriente.
Ma questo non mette in dubbio l’autenticità della reliquia che abbiamo davanti, perché qui è custodita la calotta cranica del capo del Battista e gli altri frammenti venerati altrove non sono altro che parte della stessa testa.
Un ultimo sguardo, prima di uscire, va verso l’altare maggiore dove una grata nascondeva l’Immagine Edessena. La leggenda narra che il Re di Edessa, Abgar V Ukama, avendo udito delle virtù miracolose di Gesù, gli scrive di recarsi da lui per guarirlo da una malattia incurabile, forse la lebbra. Gesù gli risponde che gli è impossibile lasciare la Palestina, ma che dopo l’Ascensione uno dei suoi discepoli sarà inviato a Edessa e lo guarirà. La narrazione continua dicendo come Taddeo, uno dei settanta discepoli, giunge a Edessa, ridona la salute al re ed evangelizza la città.
Lo stesso episodio è narrato in uno scritto apocrifo del IV-V secolo, solo che qui Gesù risponde oralmente al corriere che gli consegna la lettera di Abgar consegnandogli un telo di lino nel quale aveva impresso il Suo volto. Ricevuto il dono, secondo la leggenda, Abgar sarebbe guarito.
Le vicende di questa icona, definita “acherotipa”, cioè non fatta da mano umana, si intrecciano con la storia turbolenta del Medio Oriente e dell’Europa nel corso dei secoli: dopo l’occupazione musulmana di Edessa, sarebbe stata portata a Costantinopoli e da lì, nel 1204, sarebbe stata trasferita in un luogo incerto in Occidente dai veneziani.
Quella storicamente custodita a San Silvestro è una sua riproduzione, mentre una delle altre due presenti in Italia, a Genova e a Manoppello, potrebbe invece essere l’originale.
Nel 1870 papa Pio IX ordinò che fosse trasferita nella sua sacrestia in Vaticano per evitare che, dopo la Breccia di Porta Pia, i sabaudi potessero venirne in possesso. Da quel giorno solto in tre occasioni l’Immagine Edessena è uscita dalle mura vaticane: nel 2000 fu portata all’Expo in Germania, nel 2008 ad una mostra negli Stati Uniti e nel 2014 ritornò proprio qui, a San Silvestro nei festeggiamenti per l’Immacolata Concezione. L’Immagine è tornata dopo 140 anni per pochi giorni in questa chiesa e speriamo possa farlo al più presto di nuovo, per dare modo a quanti più fedeli di lasciarsi scrutare dal Volto Santo di Gesù.
Mauro Monti
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30 Dicembre 2016