San Massimiliano Kolbe, martire della carità
“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13)
Il 14 agosto la Chiesa ricorda San Massimiliano Kolbe. Con il suo martirio ad Auschwitz – disse Giovanni Paolo II – egli riportò «la vittoria mediante l’amore e la fede, in un luogo costruito per la negazione della fede in Dio e nell’uomo». Nell’omelia della Messa di canonizzazione il 10 ottobre 1982 in piazza San Pietro, spiegò: «Massimiliano non morì, ma “diede la vita… per il fratello”. V’era in questa morte, terribile dal punto di vista umano, tutta la definitiva grandezza dell’atto umano e della scelta umana: egli da sé si offrì alla morte per amore. E in questa sua morte umana c’era la trasparente testimonianza data a Cristo: la testimonianza data in Cristo alla dignità dell’uomo, alla santità della sua vita e alla forza salvifica della morte, nella quale si manifesta la potenza dell’amore».
Padre Luciano Lotti, ospite di Lucia Ascione nella puntata di Bel tempo si spera del 8 gennaio 2018, traccia un profilo di San Massimiliano Kolbe, il santo innamorato di Maria. “Padre Kolbe chiede molto per gli altri – racconta p. Lotti – e vive la sua notte oscura. Lui viveva un filiale abbandono a Dio, ha imparato fin da subito a fidarsi di Dio”.
C’è una chiesa a Roma legata indissolubilmente a San Massimiliano Kolbe: Sant’Andrea delle Fratte; e ad un altare in particolare, quello della Madonna del Miracolo, dove l’Immacolata era apparsa ad Alfonso Ratisbonne nel 1842: lì, il 29 aprile 1918, p. Kolbe celebra la sua prima Messa.
Nel 1941 è deportato ad Auschwitz; spogliato del saio francescano è destinato ad uno dei lavori più terribili: il trasporto dei cadaveri nel crematorio. La sua matricola era 16670. Quando uno dei prigionieri riesce a fuggire, altri 10 vengono destinati alla morte, secondo la “legge” del campo. Allora padre Kolbe, dichiarando di essere un sacerdote cattolico, si offre in cambio di un compagno di prigionia, un padre di famiglia e viene recluso per oltre due settimane nel blocco 13, quello della fame. Dopo 14 giorni Massimiliano è ancora vivo, perciò le SS decidono di accelerarne la fine con un’iniezione endovenosa. Le ultime parole di padre Kolbe sono: “Ave Maria”. (TG2000, Nicola Ferrante – 14 agosto 2017)
Padre Raffaele Di Muro, Presidente Internazionale della Milizia dell’Immacolata, e Giovanna Crea, Insegnante e devota di San Massimiliano Kolbe, a Siamo Noi (15 marco 2018) approfondiscono la figura di San Massimiliano Kolbe e in particolare, si soffermano su una preghiera da lui scritta nel novembre del 1938: alla Santissima Trinità
Ti adoro, o Padre nostro celeste, poiché hai deposto nel grembo purissimo della Vergine santissima il tuo Figlio unigenito.
Ti adoro, o Figlio di Dio, poiché ti sei degnato di entrare nel grembo di lei e sei diventato vero, reale, Figlio suo.
Ti adoro, o Spirito Santo, poiché ti sei degnato di formare nel grembo immacolato di lei il corpo del Figlio di Dio.
Ti adoro, o Trinità Santissima, o Dio uno nella Santa Trinità, per avere elevato l’Immacolata in modo così divino.
E io non cesserò mai, ogni giorno, appena sveglio dal sonno, di adorarti umilissimamente, o Dio Trinità,
con la faccia a terra, ripetendo tre volte: “Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Come era nel principio e ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen”
Rimangono nella mente e nel cuore le immagini della visita di Papa Francesco ad Auschwitz il 29 luglio 2016 e la sua preghiera silenziosa nel buio della cella del martirio di Padre Kolbe. Seduto, da solo, in silenzio e al buio, il Papa si raccoglie in preghiera su una sedia al centro della cella, ripiegato su se stesso e a capo chino.
Vita per vita. Francesco Gajowniczek è l’uomo salvato dal sacrificio di padre Massimiliano Kolbe ad Auschwitz. Era presente in San Pietro, il 17 ottobre 1971, quando Paolo VI dichiarò beato il frate polacco.
Paolo Fucili, in questo servizio del TG2000 ci racconta la sua storia e di come abbia vissuto, dopo il dono di una nuova vita
14 Agosto 2018