Cristiani d’Egitto: “Abbiamo una missione da compiere, per questo restiamo qui”
Guillaume Bruté De Rémur, rettore del seminario Redemptoris Mater del Libano, e Said Azer lavorano affinché i cristiani in Medio Oriente non scompaiano. Lo fanno, per prima cosa, con la loro presenza nella regione e, in secondo luogo, con il loro lavoro, per rafforzare la fede di coloro che rimangono nella culla del cristianesimo.
“Non bisogna negare la grandissima emigrazione cristiana anche in zone dove i cristiani non sono direttamente perseguitati – ha detto P. Guillaume – Dunque, c’è il rischio che questa fede sia sempre meno profonda, rimanga una cosa esterna, più culturale e si perda la ragione stessa per cui vale la pena rimanere in Medio Oriente. Perciò io penso che, e questa è un po’ la nostra missione come seminario, non sia sufficiente un aiuto economico, un aiuto di tipo anche politico, sociologico, ma è necessario un aiuto spirituale perchè queste persone ritrovino il senso della loro missione e della loro presenza in Medio Oriente”.
Perché l’Egitto è il paese dove la Sacra Famiglia è fuggita per salvare il Messia da Erode. La Giordania è il luogo da cui Mosè individuò la terra promessa e dove Cristo ricevette il battesimo. In Terra Santa nacque Gesù e là sviluppò la sua predicazione, arrivando in Libano, nelle città di Tiro e Sidone. E in Iraq troviamo Ur dei Caldei, il luogo di nascita del patriarca Abramo.
“Queste radici, questo patrimonio se non è vissuto, se non viene custodito da persone per le quali ha un significato, rischia di diventare un qualcosa che si mette nei musei e che sparisce poco a poco, che si dimentica. La storia e i fatti odierni ci dicono che dove ci sono i cristiani, c’è più libertà di coscienza, c’è più democrazia e c’è più spirito di convivenza. C’è come un naturale anticorpo ai fanatismi. E dunque penso che in questo senso sia molto importante aiutare i cristiani a rimanere in questi paesi”.
Aiutarli non solo a rimanere, ma a formare comunità più forti. In Egitto, la sfida è anche l’unità tra gli stessi copti, cattolici e ortodossi. Un passo fondamentale in questa direzione è stata la visita di Papa Francesco nel 2017 e il suo incontro con Papa Tawadros II. Entrambi pregarono per i cristiani perseguitati pochi giorni dopo gli attacchi della domenica delle Palme nelle città di Tanta e Alessandria.
Nonostante la violenza, cristiani come Said, pioniere del Cammino Neocatecumenale in Egitto, assicurano che rimarranno nella loro terra perché sono chiamati a compiere una missione.
“Noi rimaniamo perchè abbiamo una missione molto più grande – ha detto Said Azer – Cristo ha sofferto per tutta l’umanità e noi dobbiamo soffrire per Cristo e per la Chiesa. Non siamo più del nostro maestro. Abbiamo dentro di noi il sentimento di una missione da compiere nella terra dove siamo nati e per questo rimaniamo in Egitto”.
I cristiani copti sono una delle più antiche comunità del Medio Oriente. Si crede che sia stato San Marco ad evangelizzare questa terra nel I secolo. È anche la comunità più grande, quindi qualsiasi attacco contro di loro influisce in modo decisivo sulla morale di tutti i cristiani della regione.
Queste interviste fanno parte del progetto #StandTogether: una piattaforma digitale, inclusiva ed ecumenica, creata per dare voce a tutti i cristiani che vivono in situazioni di discriminazione o persecuzione, in particolar modo in Medio Oriente, che intende sottolineare allo stesso tempo il fondamentale valore rappresentato dalla libertà religiosa.
12 Ottobre 2018