dal lunedì al venerdì ore 17:30

Ospite di Gennaro Ferrara, Mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede.

PUNTATA INTEGRALE

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APOSTOLI DELL’ASCOLTO

Ci occorrono Vescovi capaci di sentire il battito delle loro comunità e dei loro sacerdoti, anche a distanza: sentire il battito. Pastori che non si accontentano di presenze formali, di incontri di tabella o di dialoghi di circostanza. A me vengono in mente Pastori così auto-curati che sembrano acqua distillata, che non sa di nulla. Apostoli dell’ascolto, che sanno prestare orecchio anche a quanto non è gradevole sentire. Per favore, non circondatevi di portaborse e yes men… i preti “arrampicatori” che cercano sempre… no, per favore. Non bramate di essere confermati da coloro che siete voi a dover confermare. Sono tante le forme di vicinanza alle vostre Chiese. In particolare vorrei incoraggiare visite pastorali regolari: visitare frequentemente, per incontrare la gente e i Pastori; visitare sull’esempio della Madonna, che non perse tempo e si alzò per andare in fretta dalla cugina. La Madre di Dio ci mostra che visitare è rendere vicino Colui che fa sussultare di gioia, è portare il conforto del Signore che compie grandi cose tra gli umili del suo popolo (cfr Lc 1,39 ss.).

 

UN NUOVO PATTO EDUCATIVO
Serve un patto educativo globale che ci educhi alla solidarietà universale, a un nuovo umanesimo. Per questo ho promosso un evento mondiale che si terrà il 14 maggio 2020. In un momento di estrema frammentazione, di estrema contrapposizione, c’è bisogno di unire gli sforzi, di far nascere un’alleanza educativa per formare persone mature, capaci di vivere nella società e per la società. Ogni cambiamento, però, ha bisogno di un cammino educativo. Noi non possiamo fare un cambiamento senza educare a quel cambiamento. Un proverbio africano recita che “per educare un bambino serve un intero villaggio”. Ma dobbiamo costruirlo, questo villaggio. Tutti insieme, per educare i bambini, per educare il futuro. E dobbiamo bonificare il terreno dalle discriminazioni, come ho sostenuto nel Documento che ho recentemente sottoscritto con il Grande Imam di Al-Azhar ad Abu Dhabi. Dobbiamo fare in modo che questo villaggio faccia crescere in tutti la consapevolezza di ciò che unisce le persone e tutte le componenti della persona; lo studio e la vita; le generazioni; i docenti e gli studenti, la famiglia e la società civile con le sue espressioni politiche, produttive, imprenditoriali e solidali. Dobbiamo fare in modo che in questo villaggio nasca una convergenza globale per un’alleanza tra gli abitanti della Terra e la “casa comune”, affinché l’educazione sia creatrice di pace, di giustizia, sia accoglienza tra tutti i popoli della famiglia umana nonché di dialogo tra le loro religioni. Un villaggio universale, ma un villaggio anche personale, di ognuno.

LA XENOFOBIA È UNA MALATTIA
Ho letto sui giornali di questo problema della xenofobia, ma non è un problema solo dell’Africa. È un problema, è una malattia umana, come il morbillo… È una malattia che viene, entra in un Paese, entra in un continente… E mettiamo muri; e i muri lasciano soli quelli che li costruiscono. Sì, lasciano fuori tanta gente, ma quello che rimangano dentro i muri rimarranno soli e, alla fine della storia, sconfitti da invasioni potenti. La xenofobia è una malattia, una malattia che si dà delle giustificazioni: la purezza della razza, per esempio, per menzionare una xenofobia del secolo scorso. E le xenofobie a volte cavalcano sui cosiddetti populismi politici. Ho detto la settimana scorsa, o l’altra, che a volte sento fare dei discorsi che somigliano a quelli di Hitler nel ’34. Si vede che c’è un ritornello in Europa… Ma anche voi in Africa avete un altro problema culturale che dovete risolvere. Ricordo che ne ho parlato in Kenya: il tribalismo. Lì ci vuole un lavoro di educazione, di avvicinamento fra le diverse tribù per fare una nazione. Abbiamo commemorato il 25° della tragedia del Rwanda poco tempo fa: è un effetto del tribalismo. Ricordo in Kenya, nello stadio, quando ho chiesto a tutti di alzarsi e darsi la mano e dire “no al tribalismo, no al tribalismo!”. Dobbiamo dire no. Anche questa è una chiusura, e anche una xenofobia, una xenofobia domestica ma è pure una xenofobia. Si deve lottare contro questo: sia la xenofobia di un Paese con l’altro, sia la xenofobia interna, che nel caso di alcuni luoghi dell’Africa, col tribalismo, ci portano a tragedie come quella del Rwanda, per esempio.

12 Settembre 2019