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Questa mattina, in Udienza Generale, Papa Francesco ha proseguito il ciclo di catechesi sui comandamenti a partire dal verso della Bibbia: «Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio» (Es 20,7).

Gennaro Ferrara in dialogo con il teologo francescano, Padre Raffaele Di Muro, si sofferma sulle parole del Papa quando riflette sul significato dell’“invano”, dell’entrare in relazione forte con il Signore e della sincerità dell’invocazione.

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UDIENZA GENERALE

Non pronuncerai invano il nome di Dio

Papa: Continuiamo le catechesi sui comandamenti e oggi affrontiamo oggi il comandamento «Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio» (Es 20,7). Giustamente leggiamo questa Parola come l’invito a non offendere il nome di Dio ed evitare di usarlo inopportunamente. Questo chiaro significato ci prepara ad approfondire di più queste preziose parole, di non usare il nome di Dio invano, inopportunamente.

Ascoltiamole meglio. La versione «Non pronuncerai» traduce un’espressione che significa letteralmente, in ebraico come in greco, «non prenderai su di te, non ti farai carico».

L’espressione «invano» è più chiara e vuol dire: «a vuoto, vanamente». Fa riferimento a un involucro vuoto, a una forma priva di contenuto. È la caratteristica dell’ipocrisia, del formalismo e della menzogna, dell’usare le parole o usare il nome di Dio, ma vuoto, senza verità.

 

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Quando siamo falsi con Dio

Ci si può domandare: è possibile prendere su di sé il nome di Dio in maniera ipocrita, come una formalità, a vuoto? La risposta è purtroppo positiva: sì, è possibile. Si può vivere una relazione falsa con Dio. Gesù lo diceva di quei dottori della legge; loro facevano delle cose, ma non facevano quello che Dio voleva. Parlavano di Dio, ma non facevano la volontà di Dio. E il consiglio che dà Gesù è: “Fate quello che dicono, ma non quello che fanno”. Si può vivere una relazione falsa con Dio, come quella gente. E questa Parola del Decalogo è proprio l’invito a un rapporto con Dio che non sia falso, senza ipocrisie, a una relazione in cui ci affidiamo a Lui con tutto quello che siamo. In fondo, fino al giorno in cui non rischiamo l’esistenza con il Signore, toccando con mano che in Lui si trova la vita, facciamo solo teorie.

Questo è il cristianesimo che tocca i cuori. Perché i santi sono così capaci di toccare i cuori? Perché i santi non solo parlano, muovono! Ci si muove il cuore quando una persona santa ci parla, ci dice le cose. E sono capaci, perché nei santi vediamo quello che il nostro cuore profondamente desidera: autenticità, relazioni vere, radicalità.

 

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Dio non dice mai no a un cuore che lo invoca

Papa: Dalla croce di Cristo in poi, nessuno può disprezzare sé stesso e pensare male della propria esistenza. Nessuno e mai! Qualunque cosa abbia fatto. Perché il nome di ognuno di noi è sulle spalle di Cristo. Lui ci porta! Vale la pena di prendere su noi il nome di Dio perché Lui si è fatto carico del nostro nome fino in fondo, anche del male che c’è in noi; Lui si è fatto carico per perdonarci, per mettere nel nostro cuore il suo amore. Per questo Dio proclama in questo comandamento: “Prendimi su di te, perché io ti ho preso su di me”.

Chiunque può invocare il santo nome del Signore, che è Amore fedele e misericordioso, in qualunque situazione si trovi. Dio non dirà mai di “no” a un cuore che lo invoca sinceramente. E torniamo ai compiti da fare a casa: insegnare ai bambini a fare il segno della croce ben fatto.

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22 Agosto 2018