Un cristiano in cammino che mette l’eternità nella musica
Enzo Avitabile, musicista, cantautore, maestro di Conservatorio, docente universitario, pop e rock, napoletano e afroamericano, tradizionale e sacro: capace di un viaggio nell’arte della musica contaminando stili e ritmi e pensieri, un viaggio partito da Marianella, Napoli, nell’anno di grazia 1955, là dov’è nato Sant’Antonio Maria de’ Liguori, l’inventore della musica popolare. Avitabile è debordante e umile, spiritoso e commovente, intenso, mai banale e inchinato alle regole dello star system. Due targhe Tenco, due Premi Severino Gazzelloni, un film a lui dedicato firmato dall’Oscar Johnatan Demme…
“Sono uno che cerca di imparare sempre. E che quando scrive suona anche gli strumenti che non sa suonare. All’inizio ho cominciato a cantare in italiano ma dopo l’incontro con James Brown ho avuto una mia personale intuizione: quella di avere un mio suono. Un suono riconoscibile, da riportare nel mondo e mi sono affidato a delle fonti sicure, cioè la lingua dialettale napoletana, che mi dava una possibilità espressiva autentica. Questo era un modo per muovermi nei suoni del mondo pur conservando la mia identità. Essere napoletano è la garanzia di una grande storia, Cimarosa e Pergoelsi, Paisiello, il mare, che porta tesori lontani…”
“Che bello sarebbe se noi partissimo dal rapporto tra finito e infinito, il punto e l’universo, la goccia d’acqua e l’oceano, il microcosmo e il cosmo. Se io racconto una piccola realtà, racconterò anche una parte di quell’universo. C’è una periferia a Napoli che io trovo simile a Roma o Milano o ad altre città europee. Cominciamo a dare attenzione a queste terre che ribattezziamo a svantaggio e non chiamiamole più terre povere e di degrado. Per questo ho avuto la visione di Giorgia, la nostra più bella voce femminile, che dal profondo delle vele di Scampia canta questo inno agli uomini di tutti i giorni che chiedono fortemente di essere riconosciuti, perché ogni uomo rivendica la sua esistenza.”
E così De Gregori, Mannarino, Caparezza, Fresu, Renato Zero… tutte queste voci insieme, in un nuovo album che proprio da un quartiere periferico della sua Napoli, Lotto Zero, cambia il suo nome in Lotto infinito, perché a quello tende lo zero…”C’è tanta periferia nei centri storici, perché periferia è tutto ciò che si muove “Out of sight” ovvero fuori di vista.Il Papa ha parlato anche di periferie esistenziali, non a caso. Se volete imparare Maria andate dai mariologi, se volete conoscere Maria andate dal popolo, recitate il Rosario. Io sono un uomo del popolo e vivo la mia fede in modo devozionale, confidenziale con il Signore. La parte devozionale è cantare, pregare come tutti, muoversi con il Signore come fosse un tuo amico, uno di famiglia.”
“Mi sento un cristiano in cammino. Sono stato cattolico, poi per un periodo di tempo Tina Turner mi avvicinò al buddismo, ma ritornai presto alla mia religione. Quello che cerco è sempre la stessa cosa: la comprensione sottile di qualcosa che è al di sopra di noi ma che è anche dentro di noi. Ho bisogno di Dio perché ci credo. Da uomo nella mia finitezza mi piacerebbe averlo qui ora e poterlo toccare. Però mi rendo conto che esiste un Dio personale e uno impersonale. Noi da uomini per quelli che sono i nostri codici di comprensione viviamo un Dio personale, quello della tradizione, che ci è più familiare, che può essere pregato con le preghiere imparate dai nostri cari. Il rosario ad esempio non è una moda. E’ una scelta, una necessità. Il rosario è un’arma che ti accompagna, che usi per proteggerti o per festeggiare i momenti belli.”
“Il distacco è un legame spezzato con una persona a cui rimani sempre legato. E’ stato il dolore per mia moglie, scomparsa troppo presto. In questi contesti ognuno ha una reazione. La mia è stata quella di allontanarmi dal desiderio di ricerca e di purificazione personale, ma alla fine non ci sono riuscito perché sentivo fortemente di pregare e di continuare questo percorso. Con il dolore tu incarni una cosa perché c’è una grande differenza tra incarnare e conoscere il dolore. Attraverso gli altri conosci il dolore e lo comprendi mentre quando incarni il dolore è diverso, lo vivi in modo intenso e ti lasci cambiare…da quel dolore ho incominciato a incarnare anche la musica. Prima la facevo, poi l’ho fatta mia. Si aspira all’imperturbabilità dell’anima che mostrano i santi e molti maestri spirituali. Io sono ancora in un percorso tortuoso e di inquietudine ma sono felice perché amo profondamente la mia musica e il rapporto che ho con la gente. In tante relazioni che pure ti sembrano inutili, o nella divergenza, c’è sempre la possibilità di farsi cambiare la vita, di prepararsi a un giorno nuovo.”
“Non penso che il dono della musica sia una responsabilità. Lo vivo come un gioco, come possibilità di scoprire mondi nuovi e la vita. la responsabilità è di chi ha la coscienza di essere una guida, io non ce l’ho. La mia più grande aspirazione è di non essere un cieco che guida altri ciechi…”
“Sono meglio adesso di quando ero giovane, perché riesco a vedere tutti i miei errori e i miei limiti. Il mio desiderio più grande è quello di imparare sempre qualcosa di nuovo e dare qualcosa di utile alla musica.”
“Per me musica sacra non è musica liturgica, ma tutto ciò cui diamo spazio al di fuori dello spazio e del tempo. La musica sacra, ma anche la musica popolare, tradizionale può diventare liturgica… James Brown può essere sacro, alcuni miei testi sono utilizzati liturgicamente, perché scopri magari che hanno connessione con una parte del catechismo. Partirei sempre però dallo Stabat Mater di Pergolesi e mi ricorderei di questa grande esempio di polifonia che secondo me in chiesa è una delle cose più belle”.
Enzo Avitabilie, racconta la sua esperienza di musica e spiritualità – Sabato 14 gennaio a Soul su TV2000 alle 12.20 e alle 20.45
12 Gennaio 2017