Pensare fa bene come la medicina
Medico, psichiatra di fama internazionale, volto noto della tv, fertile saggista, con Vittorino Andreoli si potrebbe parlare di tutto con profondità di giudizio e competenza, perché è raro trovare persona più attenta alla realtà e a ciò che muove il cuore dell’uomo. Con lui, ospite di Soul, si è parlato di una vocazione tenace, nata in una famiglia eroica, si è parlato di follia, che non è zona rossa dello scarto umano; si è parlato di comunicazione, invasiva e ottusa, di pensiero, a partire dal suo ultimo saggio, La gioia di pensare. Elogio di un’arte dimenticata, edito da Rizzoli. E si è parlato di Dio. A Soul, domenica 19 febbraio alle 20.30, su Tv2000
Fine guerra, papà eroe
Mio padre è ancora un punto di riferimento molto forte, fu il mio eroe: mi hai insegnato a vivere, mi ha dato un esempio forte. Sono nato nel 1940 e ricordo che, siccome mio padre era antifascista, gli avevano impedito di lavorare: dal 1943 era nascosto in un monastero. Il mio primo ricordo di bambino è dopo il ’43: bisognava nascondersi, quindi eravamo sfollati dai miei nonni materni. Una domenica alla fine della cerimonia venne un monaco che mi prese in braccio, ero quasi preso dallo spavento, poi si tirò giù il cappuccio e vidi che era mio padre.
Mancanza del padre o del maestro
Genitori sono quelli che generano, padri bisogna diventarlo. I padri non ci sono negli ultimi anni. Essere padri è un impegno molto forte: non si tratta di parlare, ma di essere, si tratta di dare esempi. Di mio padre non ricordo tanti discorsi, ma i suoi sorrisi e le sue preoccupazioni, il fatto di aver pagato perché la sua azienda edile non poté lavorare per molti anni, dovette aspettare la fine della guerra. L’esempio resta: è qualcosa che dall’esterno ci portiamo dentro. Introiettiamo le figure e rimangono anche quando non ci sono più.
Lo psichiatra non era il volere di mio padre
Mio padre voleva che io continuassi l’attività della sua azienda e per questo mi aveva incamminato verso studi di questo tipo. Un giorno dissi a mio padre che mi sarei dedicato ai “matti”, lui rimase un po’ colpito e lo fece pensare molto
La visita al manicomio di Verona, decide la sua vita
Chiesi al direttore di poter visitare il manicomio perché era una mia prospettiva. Allora i manicomi erano divisi in cinque padiglioni maschili e altri cinque femminili, non c’era una diagnosi ma erano divisi per “gravità” col numero di padiglione, dal più piccolo al più grande. Al quinto c’erano i malati legati, gli schizofrenici gravi, i paranoici. Nei cinque padiglioni femminili vidi una certa umanità. Il direttore alla fine pensava che avessi cambiato idea, ma gli dissi che ero sicuro di fare lo psichiatra perché potevo fare qualcosa.
Arte linguaggio, follia non è marchio definitivo
L’atelier di pittura mi mostrò che il matto sarà irrazionale, ma è qualcuno e fa cose meravigliose. Io ho conosciuto un “matto”, Carlo Zinelli, che oggi è considerato uno dei più grandi pittori del ‘900. È stato per me una modalità per vedere in positivo. In quel momento stabilii che anche il malato più grave è compatibile con la creatività, l’espressione umanamente più ricca.
Il cervello è plastico
Abbiamo un cervello che non è, come si riteneva in passato, un cristallo che se si rompe non c’è nulla da fare. C’è una parte che è determinata, strutturata e rimane quella, ma c’è anche una parte nei lobi frontali, più precisamente nelle parti parieto-temporali, dove c’è un cervello che si chiama “plastico”: vuol dire che si organizza in base alle esperienze. Qui c’è l’apprendimento, ci sono tutte le memorie e il nostro cervello permette anche cose nuove: per questo anche il matto non solo può apprendere, ma esprimere la creatività. Ecco perché amo più i matti che i normali, che sono pochi.
Amare la follia
La follia è umana, tutti possiamo fare cose folli. Io amo molto i folli perché ho vissuto e vivo con loro. Inoltre, la follia è curabile. Negli anni ottanta ho avuto il coraggio di dire che il campo della psichiatria fosse quello del cervello plastico, qui è come smontare sulla base di esperienze negative e ricostruire dei comportamenti. Non solo con i farmaci. La mia terza via della psichiatria, sosteneva che la parola riesce a penetrare. Non è verba volant, come si diceva. Le parole riescono in qualche modo a modificare e non sono così lontane da quello che possono fare i farmaci.
Follia, nasce dalla chimica, dal cervello o dalla società?
Tutto nasce dalla frustrazione, la follia non è dentro una statua, ma è dentro un uomo che vive ed è quello che chiamiamo rapporto io-mondo, la relazione. La follia non è dentro questo uomo o quell’altro, ma nasce nella relazione, dove il punto critico è la frustrazione: il non sentirsi accettati, il sentirsi rifiutati, l’avere una madre che invece di accogliere è antagonizzata, qualche volta ama altre volte rifiuta. La frustrazione è un senso di mal d’essere che noi proviamo in un certo ambiente
Follia termine da non usare sempre
Molte volte dico anche di fronte a delitti di non dire che questo è un folle, perché è una mancanza di rispetto per i “matti”. Questa è una confusione perché non abbiamo mai trasmesso chiaramente cosa sia la follia e allora la gente non capisce, perché vorrebbe che contemporaneamente uno fosse matto e punito. Se uno è matto vuol dire che non è in grado di capire cosa ha fatto e va curato e non punito.
Psichiatria oggi
La psichiatria del tempo presente è una scienza infelice ed è così perché è disorganizzata, non ha ancora capito l’umanità della follia. C’è un concetto che va compreso: per valutare un comportamento normale o folle, virtuoso o viziato, bisogna tener conto che il comportamento dipende da 3 cose. Primo dalla biologia, il corpo, la carne. Questo non basta altrimenti faremmo come Lombroso. Il secondo fattore è dato dall’esperienza, che costruisce la nostra personalità: noi siamo continuamente in costruzione. Terzo elemento è quello dall’ambiente, quella che chiamiamo società, anche geograficamente ma soprattutto con le relazioni. Non si può valutare solo con uno di questi!
Il male dell’uomo e nell’uomo
Io amo l’uomo in qualsiasi dimensione si trovi. Mi sono occupato dei casi dei peggiori criminali. Donato Bilancia ha ammazzato 17 persone in 6 mesi, io l’ho analizzato, sono stato con lui per cercare di capire, vedo l’uomo anche in lui. Lo psichiatra non deve giudicare, anche quando si va in tribunale. Io ho il compito di comprendere e per questo devo penetrare e mettermi in gioco. Lascio giudicare i giudici e la giustizia, ma io devo capire. Non mi consideri pazzo se amo l’uomo in qualsiasi dimensione, mi pare che ci fosse un uomo di Nazareth che la pensava allo stesso modo: io amo l’uomo, credo nell’uomo e ho tentato di aiutarlo, ma non so se ci sono riuscito. Questo dipende dalla condizione umana, io sono fragile.
La fragilità umana e la sacralità dell’uomo
La fragilità umana, il senso del limite, il mistero. Il male ha una dimensione nell’uomo perché so che con queste mani posso accarezzare, ma si può anche uccidere. Si può suonare un Notturno di Chopin e sparare: questo è uno dei grandi misteri dell’uomo. Ho fatto laboratorio, amo la scienza e voglio una psichiatria scientifica, ma questo non impedisce il mistero, il senso del limite, il perché della nascita. Io credo nella sacralità dell’uomo, dopodiché ci sono le religioni che danno risposte al sacro.
Gli psichiatri che studiarono Gesù
Gli psichiatri hanno anche studiato Gesù e un grande teologo, Romano Guardini, si oppose a questo perché si trattava di Dio. Gesù era anche uomo, guardo a questo. Innanzitutto l’ho difeso perché dicevano che era pazzo e l’ho analizzato oggi: ho detto agli psichiatri che si erano occupati di studiarlo nell’800 che hanno sbagliato tutto. Certamente l’uomo può fare il male, ma laddove vedo il male vedo anche la possibilità di evitarlo.
Paolo VI un incontro sul male
Incontrai Paolo VI sul tema del male, scrissi un libro che si intitola “Demonologia e schizofrenia” erano gli anni ’75/’76 e seppi dopo che il pontefice Paolo VI avrebbe scritto la famosa lettera sul male. Volle sapere di più sulla mia idea di psichiatria. Alla fine del mio secondo incontro personale in tarda mattinata, mi prese sotto braccio in una lunga galleria e abbiamo camminato. Vidi che era un uomo che soffriva molto e mi disse “Il male c’è professore” e lo ripeté più volte. È stato un uomo d’esempio per me, credo che lui vedesse il male nell’ambito di una visione più ampia che è quella del cielo e ne ho un rispetto enorme. Io posso parlare del male dentro l’uomo.
Possessioni diaboliche o malattie?
Paolo VI mi chiese se nella mia professione avessi trovato dei pazienti che uscivano dagli schemi della psichiatria. Gli dissi di sì, ma ho sempre pensato che la psichiatria sa ancora troppo poco e che io posso aiutare nel migliorarla.
Il fare porta a pensare poco, pensare farebbe bene
Pensare fa bene all’essere, fa bene a chi vive, a tutti e non solo ai malati. Io sono un tragico perché vivo nei casi estremi e mi piace la follia. Oggi però quello che è veramente tragico è il mondo. Per questo mi sono detto che era il momento per parlare della gioia, che non è la felicità. Tutti cercano la felicità che è un aspetto individuale. Io sono un infelice gioioso, amo quella sensazione che io sento e posso distribuire agli altri. Come si fa dire di essere felici con tanti problemi? C’è bisogno del “noi”. Non è la connessione digitale, noi non stiamo più usando il cervello che è la vera rete, la creatività. Io vorrei dire alla gente quanto ci sia gioia nel pensare, mi rivolgo a tutti. Tu credi di pensare a qualcosa di definitivo, invece il pensiero produce altri pensieri e tu stesso ti meravigli di quello che pensi.
Il potere sottomette
L’unica cosa che le da il potere sono dei desideri di oggetti, il potere la sottomette dicendo per esempio che per star bene devi avere l’ultimo telefonino. Noi pensiamo solo all’avere delle cose, ma in realtà non pensiamo affatto, in questo caso ubbidiamo passivamente. Il pensiero è ciò che ci rende umani
Speranza nel pensiero
Mi aspetto che le persone comincino ad usare veramente il pensiero, c’è una crisi di civiltà, perché stiamo regredendo all’uomo pulsionale. La follia aumenta perché diventa pulsione, che sostituisce il vecchio “istinto”. Questo termine dava il senso di qualcosa di ineluttabile, mentre la pulsione è qualcosa che ci spinge e che possiamo in qualche modo frenare. I freni inibitori non ci sono più. Succede ogni giorno. E si arriva ad estremi come gli omicidi, perché le persone sono un ostacolo e non si ha più il senso della morte. Bisogna pensare anche alla morte, per cui trovi un mistero o la soluzione di una religione. Il pensiero per me è sacro.
La donna a rischio
La regressione verso la pulsionalità ritorna a fare della donna la preda, è tremendo. Pensiamo alla sacralità della donna che può diventare madre, meno importante di quella che può diventare il CEO, l’amministratore delegato. La madre è il laboratorio da cui dal nulla nasce un bambino.
Pensare ad un nuovo umanesimo
Spero che si capisca che l’uomo per vivere insieme ad un altro deve costruire un umanesimo, anche un educazione che non deve essere di parole. Un grande papa disse “Bisogna che rendiamo prima l’uomo umano e dall’umano che lo passiamo al divino”. Io sto lavorando qui, ho fiducia che l’uomo capisca così che l’egoismo, il denaro, il potere sono una malattia sociale: si crede di guarirla aumentando il potere. Vale a tutti i livelli, il potere ci ha reso tutti piccoli “potentini” per poterci governare. La fragilità, invece, è il punto. La mia fragilità mi porta di avere bisogno dell’altro, è la condizione umana e due fragilità insieme danno la forza per vivere. Il potere ha bisogno di ciascuno di noi per sottometterci.
Vita reale o digitale
La relazione è la rete, non quella di Facebook. Io non demonizzo lo smartphone, come tutte le grandi scoperte della scienza. La vita umana non può essere sostituita dalla vita digitale: o questa serve ad aiutare a vivere oppure non è positiva. Non ho mai usato il termine male perché io sono convinto che quell’uomo che ha fatto delle cose inaccettabili, quell’adolescente che ha fatto delle cose incredibili, quando ci pensa si chiede che cosa abbia fatto. Non siamo abituati ad educare i nostri figli a pensare prima di fare, c’è un empirismo radicale per il quale prima si fanno le cose poi casomai ci si pensa. È la storia degli adolescenti, bisogna fare tutto in tempo reale.
Vittorino Andreoli è ospite di Soul Domenica 19 febbraio ore 12.20 e 20.30 su Tv2000
A cura di Giuliano Cattabriga
16 Febbraio 2017