Ridere è base di comunità
Gennaro Nunziante, professione regista, marito, padre. Pugliese, ha iniziato la gavetta con passione nelle emittenti private, dove ha scoperto in un provino un protagonista d’eccezione: Luca Medici, in arte Checco Zalone. Con lui Nunziante diventa amico e insieme scrivono e girano i film che risollevano le sorti del cinema italiano. Che piaccia o no, perché Checco divide, lo si ama o lo si disprezza, con la solita moda snob di certo elitarismo critico. A noi Checco piace, perché ha una mimica strepitosa, perché è spontaneo, vero, intelligente, caustico. E la sua comicità, mai cattiva, mai volgare, castiga ridendo mores, secondo la miglior tradizione, ed è assolutamente unpolitically correct. Nunziante, come Checco, non dimentica le radici, innanzitutto quelle della sua terra, dove ha scelto di vivere e far vivere la sua famiglia. E le radici culturali, cioè una concezione dell’uomo che è indissolubilmente legata alla tradizione cristiana. Senza la pretesa di dare messaggi, ma con la volontà di disegnare la realtà com’è, con le sue contraddizioni e l’indomabile speranza, l’ottimismo di chi vuole arrangiarsi, perché guarda avanti, e non si ferma alle lamentele e al diniego. Una comicità cattolica, dice Nunziante, cresciuto in un oratorio salesiano dove ha imparato ad amare il cinema e non solo.
Checco Zalone, mi piace perché…
Per prima cosa quello che mi piace di lui è il suo talento. La sua capacità, la sua bravura, mi piace anche il modo come lui lo esercita: non soltanto sul set o nella parte artistica, ma anche umana. Estraniandosi e chiamandosi fuori da una serie di contesti. Con lui c’è questo che non soltanto condivido, ma che apprezzo.
Desiderio più grande, far stare insieme
Il mio desiderio più grande non è solo far ridere con i miei film, ma soprattutto far stare la gente assieme, farli ridere insieme, si è persa la ritualità dello stare insieme.
Volgarità mai nei nostri film
La volgarità che almeno per me è evidente è la banalità, l’ovvietà: l’ovvio mi da il senso di volgare. Invece nei nostri film, la volgarità no, mai.
Gli inizi con Checco
Luca venne a fare un provino a TeleNorba, dove lavoravo, e da lì abbiamo cominciato a collaborare. Avevo capito sin da subito che “funzionava”, l’avrebbe capito chiunque. Luca aveva una sua forza e un’intelligenza che è fuori dal comune.
Le tv locali
A me è servito tanto essere legato ad esperienze radio e tv locali: è stata la mia palestra. Se non avessi avuto le tv locali non avrei potuto fare nulla. Avevo cominciato a lavorare a teatro, ma era costoso e dovevi affittarlo, quindi costi infiniti. Invece, la tv locale ti permetteva di fare bottega, ho fatto questo. La cosa più bella è quella libertà che avevi perché non dovendo pagar dazio ad una specie di audience, sperimentavi linguaggi. Tutto è nato da lì, ancor prima da TeleBari, una piccola tv locale cittadina.
La scelta della regia
Ho scelto di fare il regista perché mia madre confondeva sceneggiatore e scenografo, per semplificargli la vita ho scelto di fare regia, così poteva dire alle sue amiche che facevo il regista. Io mi sono ritirato subito da scuola, ho cominciato subito a lavorare. Il cinema è arrivato come una specie di prosecuzione di un lavoro sul linguaggio, ma non penso di rimanerci ancora per tanto, non è una cosa che mi interessa così tanto. Vorrei leggere e starmene a casa.
Il successo
Quando hai successo l’attaccamento alle radici conta tantissimo, perché ti ricordano che non sei mai un “io” ma un “noi”, fatto di tante persone che hanno collaborato e partecipato con te a questa cosa. Questo “alto” che si raggiunge è raccontato male, non si raggiunge nulla, è una fesseria totale. Se uno ha le sue inquietudini che ti porti da ragazzino, le continui a vivere.
Canetti diceva che “Il successo è come veleno per i topi”. Il successo è qualcosa che ti toglie e non ti dà, perché se hai raggiunto degli obiettivi li hai già raggiunti che ti importa di avere una classificazione? Il successo tende a toglierti qualcosa, soprattutto il rapporto con gli altri. Scattano meccanismi di separazione, questo lo devi eliminare costantemente dalla tua vita. La cosa più bella di quello che si definisce “successo” è il riprendere possesso del tempo: hai la possibilità di spiegare ad un produttore che il film si fa in 2-3 anni e non 2-3 mesi. Questo è il bello del successo, il resto non conta. Bisogna tornare a quell’artigianalità. Mio nonno e mio padre erano artigiani, io faccio l’artigiano e l’artigiano ha bisogno di tempo: mio nonno per tornire le gambe dei tavoli da biliardo ci metteva mesi perché dovevano avere un equilibrio assoluto. Non puoi mollare le cose così e soprattutto bisogna avere rispetto delle persone che vanno al cinema, quel biglietto è pagato, si esce e la gente si riunisce: è come se tu inviti a cena qualcuno e poi gli fai trovare della pasta scotta, non va bene.
La famiglia e la povertà
Mio padre era tappezziere e mia madre casalinga, 5 figli, in un quartiere popolare di Bari, il quartiere Libertà: vengo da questa famiglia qui. Tutti artigiani, poi mio padre è diventato ferroviere.
Abbiamo dovuto fare i conti con le difficoltà economiche, però sono stati anche momenti bellissimi. Allora ridevamo con le mie sorelle, quando non c’era da mangiare si rideva a casa mia. Quando non puoi raggiungere delle cose, a volte cerchi anche la strada dell’ironia, altrimenti che puoi fare? Ti vuoi uccidere? Noi guardavamo, però, sempre il contesto e ci rendevamo conto che non c’era da lamentarsi più di tanto, andava bene. Non solo perché c’era chi stava peggio, ma perché all’epoca la povertà era qualcosa di condiviso con gli altri, era più dignitoso. Oggi le povertà sono più distinte e soprattutto con le disuguaglianze più allucinanti che ci sono: molto più potenti e pesanti da vivere.
Il sostegno di chi non c’è più
Io sin da bambino sapevo che avrei fatto questo nella vita, lo sapeva mia madre, mio padre e le mie sorelle che mi vedevano fare divertire gli altri a casa. Mi sono sentito sempre aiutato, soprattutto dalle persone che non c’erano, i morti della mia famiglia. Quando è morto un mio amico, quando eravamo ragazzini, ho sentito che quel mio amico Gigi era con me per tutto il resto della vita, infatti costantemente risuonavano le sue parole e le sue cose.
Checco Zalone supera la comicità
Se c’è una cosa che Luca ha realizzato è il superamento di quella macchietta, non è più il furbetto all’italiana che è una maschera già vecchia. Luca rappresenta il furbo che è diventato sistema.
La comunità
Io sento fortissimo l’elemento comunitario, devo stare con una comunità di persone. Non mi piace l’individuo che se ne va per conto suo e poi dall’alto di un monte detta le tavole della legge a qualcuno. Il film deve essere un abbraccio con tutti, anche attraverso il sorriso dell’accettazione dei nostri limiti.
Lieto fine necessario
Il lieto fine è necessario per me, la vita mi ha insegnato che le cose, anche le più strane e brutte, avevano sempre una lettura diversa. Per me il lieto finale, spesso guardato e criticato come buonista, per me è fondamentale, una conditio sine qua non, altrimenti mi chiederei perché abbia fatto quel film.
Mai improvvisazione, ma blues
Con Luca, alias Checco Zalone, non c’è mai stato nulla di improvvisato nei nostri film: è sempre stato tutto scritto o considerato e messo da parte. La comicità per funzionare deve essere fresca. Quando Luca pensa a delle battute, spesso gli chiedo di non dirmele perché sul set verranno fuori e la troupe se le vivrà come una specie di blues suonato in quel momento.
Deve far ridere mia madre
Mia madre è una donna che ha avuto il padre che le è morto presto, non è potuta andare a scuola e ha cominciato subito a lavorare: perché dovrei chiamarla fuori da un contesto di film? Perché non deve partecipare? Non vuol dire annacquare tutto e rendere tutto sempliciotto, ma fare uno sforzo e un lavoro superiore affinché anche mia madre sia dentro e come lei tante altre persone. Per me non si pone nemmeno il problema: qualsiasi cosa che mi è capitato di leggere e guardare mi sono sempre chiesto se producesse il sorriso in mia madre, altrimenti non mi sarebbe servito.
Film d’autore e problemi di linguaggio
Se c’è una cosa che al cinema italiano manca è sicuramente il film d’autore, come lo intendono gli intellettuali. Per me il film d’autore è qualsiasi cosa che è raccontata nell’uomo. Oggi non si può fare più il film con lo sceneggiatore. Il cinema lo deve fare il poeta o l’architetto. Il vero problema del cinema è un impoverimento di linguaggi: il linguaggio dello sceneggiatore che ha imparato dal corso di sceneggiatura come si strutturano le scene è finito, è vecchio e mi mortifica. Bisogna chiedere a questi sceneggiatori di allargare gli orizzonti e trovare parole nuove. Se stiamo morendo di qualcosa è di parole scontate. In più, sul piano del mercato, stiamo morendo di una dimensione di “multisale”: la multisala “cozza” con un certo tipo di cinema. Ecco perché dobbiamo far tornare le piccole sale, perché nelle piccole sale anche il regista indipendente non vive l’assillo di fare dei numeri, ma di fare come successo a me con TeleNorba, la sua piccola artigianalità.
Preghiera nostalgia di Dio
La nostalgia di Dio è quando preghi. Devi metterti in un altra direzione che non è quella di attendere la visione, ma di incontrare quotidianamente le persone per strada e star bene con loro, un passaggio necessario.
Essere padri e mariti
Sono un padre pessimo, tre figli Antonio, Rachele e Renato. Molto meglio è mia moglie, Margherita, io coadiuvo e sto là se serve. Ci arrivi alla paternità e non parti padre, mentre marito si parte: la mia è stata una scelta precisa. Per il padre è un po’ diversa la questione: la prima cosa che devi fare è sistemare tuo figlio, prima di diventare padre. Non ci sono ricette e forse l’unica che si può dare è quella di “sbobinare” i nastri ogni giorno e capire alla moviola cosa andava o non andava fatto.
I figli sono meglio dei padri, queste nuove generazioni sono meglio delle precedenti.
Posto fisso?
In “Quo Vado” la questione non era del posto fisso, ma sulla nostra fissità. Noi ci siamo persi qualcuno per strada in questi anni: il nostro prossimo. Ci siamo persi il senso comunitario, perché veniamo da oltre trent’anni di individualismi, di gente che diceva che tu sei perché guadagni. Credo, invece, che possa succedere qualcosa di buono oggi. Continuo a confidare nell’uomo e nelle persone, credo che dove siamo arrivati ora la questione non sia più politica ma ecologica. Noi guardiamo una prospettiva diversa da quella che ci batte dietro da molti anni: il pianeta e la necessità di salvare questa terra. Questa cosa è diventata molto più impellente e sarà il motivo per il quale le politiche non potranno che accettare un dietrofront e un ritorno ad una disciplina delle cose.
Il cinema sta morendo
Il cinema sta morendo della mancanza di sorpresa, ma anche tante altre forme di arte, letteratura e poesia. Spesso leggi libri che ti hanno letto, vedi film che ti hanno visto e quindi non c’è sorpresa. Invece c’è bisogno di una sorpresa che non sia fine a se stessa. Lo stupore è necessario: non farsi trovare mai dove la gente ti aspetta. è importante ma questo è figlio di un percorso e di un lavoro. Noi siamo animali da letargo: devi andare in letargo a studiare, a riempire di nuovo le tue cisterne di acqua. Altrimenti cosa vuoi offrire?
Film da oscar?
Mi piacerebbe fare un film da Oscar, l’idea di un film internazionale mi piace, diverte e affascina perché sento l’esigenza di parlare ad una comunità che non è solo italiana. L’elemento più bello per me è questo continuo camminare: finché sento che sto facendo qualcosa che aggiunge a quello che ho fatto va bene, altrimenti stop!
Il cinema non è seriale
Il cinema non è seriale, guai se diventa una specie di mestiere in cui vai la mattina mezzo acciaccato o annoiato. Se ti propone un percorso allora sì: quando hai da fotografare il momento e quello che avverti sia un cambiamento. Il cinema è un’arte più lenta rispetto alla pittura che arriva prima e spesso ha anticipato i segni del cinema o della letteratura. Forse perché è più facile fare un quadro da un punto di vista di realizzazione, per esempio non hai bisogno di un produttore che mette i soldi, ma solo di una tela. Il concetto è quello che conta, spostare più in là la ricerca sull’uomo: dove stiamo andando? Non dobbiamo dare una risposta o almeno darla solo parziale per tenere sempre viva la domanda perché poi la realtà ti stupisce nuovamente e hai bisogno di capire dove ti devi collocare: quando scatteranno la fotografia devi stare con le persone giuste, quello che si cerca di fare restando in una comunità.
Gennaro Nunziante, “regista” di Checco Zalone, è ospite a Soul Sabato 4 marzo ore 12.20 e 20.45
A cura di Giuliano Cattabriga
2 Marzo 2017