Padre Giulio Michelini: “La realtà di oggi spiega la realtà di Cristo e viceversa”
Giulio Michelini è un frate minore francescano: ha fatto il noviziato nel convento dove Francesco diede casa alla giovane Chiara, San Damiano, ha viaggiato e studiato in Terra Santa, è uno studioso di cultura ebraica e biblista, ed è attualmente guardiano del convento umbro di Farneto. A lui papa Francesco quest’anno ha chiesto di predicare gli Esercizi di Quaresima per la Curia Romana e per lui, con una chiamata inaspettata, ringraziandolo poi per com’era stato naturale, “senza faccia da immaginetta”. Padre Giulio a Soul parla naturalmente di temi altissimi, ci inoltra nel mistero pasquale, lo incarna nella terra percorsa da Gesù. Parla con sapienza e umiltà, con la forza di un francescanesimo sfrondato dalle edulcorazioni e dai sentimentalismi.
“È difficile ritrovare l’origine della vocazione. Questa nasce da occasioni, da incontri. Io penso sia così, che ci si incontra, ci si innamora. Sono incontri che soltanto dopo si possono rileggere. In realtà non c’è una risposta, forse la vocazione è nata come contrasto alla mia personalità. È Francesco che mi chiama”.
“L’umiltà è qualcosa da cercare. Ma il più delle volte è lei che cerca me: più studio più capisco che so meno di quello che pensavo. Più che un professore, sono uno studente, uno studioso. La sapienza biblica ci dice che l’umiltà è molto concreta. La sapienza che troviamo nella scrittura non è qualcosa di semplicemente astratto, filosofico, come era la sofìa del mondo greco, dove c’era un contrasto e un distacco dalla vita. La sapienza biblica è attinente alla vita. La sapienza dovrebbe avere sempre questo contatto con la realtà e con la fede “semplice”.
Incontro cultura giudaica e cristiana: “Gesù unisce e divide dappertutto. Ma credo che lui abbia voluto unire. In alcuni suoi detti si trova questa drammaticità. Noi stiamo imparando che anche con le differenze di convinzioni si può trovare un punto d’incontro.
Il mio primo impatto studiando con i rabbini non è stato facile. Anzi, ci sono stati anche degli scontri perché da loro viene presentata una figura di Gesù che a volte non riconosci. Ti senti accusato, viene contestata la tua fede. Ma poi ho capito che apprezzando l’altro, anche nella sua differenza e nella ricchezza che il mondo ebraico ha, aumenta la certezza della propria identità.”
“I francescani, quasi subito dopo San Francesco, hanno avuto la custodia della Terra Santa. Quando accompagno le persone, soprattutto quelle che vengono da lontano, mi accorgo che qualcosa scatta. Sia per l’apporto che viene dal contesto, sia dal fatto che la parola di Dio risuoni lì in modo particolare. L’affermazione che la Terra Santa sia il ‘quinto Vangelo’ è assolutamente vera. Chi vive questi luoghi? I frati, i cristiani, gli ebrei, i musulmani. Quando facciamo il pellegrinaggio dò molta attenzione all’interreligiosità. Spesso porto i gruppi alla tomba di Ietro, suocero di Mosè, che si trova sopra il Lago di Galilea. Questo è un santuario custodito dai drusi, quindi da una religione diversa dalla mia e che non è nemmeno l’ebraismo, ma ci fa risuonare una parola di Dio che è quella del Pentateuco, della Torah. Sono pietre vive.
Il Santo Sepolcro, la Terra Santa, sono i luoghi del cuore della vita cristiana, che è la Pasqua. Perché i cristiani sono sempre più centrati sulla quaresima, sulla crocefissione?
“La Quaresima è una rincorsa, come quando devi fare salto in lungo. Il salto si esaurisce in pochi metri, ma la preparazione è molto importante. La Quaresima è molto lunga, però se non ci fosse, l’ultimo giorno non conterebbe nulla. L’Ascesi diventerebbe qualcosa di vicino ad altre forme di religiosità, pur vicine, che cercano il Nirvana, che cercano il rientrare in se stessi, che cercano di limitare l’utilizzo dei beni del mondo. Ma per noi c’è qualcosa di altro. È un periodo finalizzato ad un determinato momento. È un periodo molto lungo, ma è necessario, bisogna dare adeguato spazio all’anima affinché si appresti a celebrare il mistero più drammatico della nostra fede, la morte di Gesù, e quello più bello, la resurrezione”.
“ Il Padre avrebbe potuto fare in altro modo, ma ha permesso che il Cristo accettasse questa storia. Non ci ha liberati dalla prova e dalla sofferenza, perché fanno parte della nostra umanità. Ed è bene che ci sia, altrimenti ci sentiremmo degli dei. Invece è la nostra dimensione fragile, quella della malattia e della sofferenza, che ci riporta ad essere degli esseri umani e Gesù l’ha condivisa con noi. Non ci ha liberato dalla croce, ma l’ha portata lui per primo. Abitando la nostra stessa morte”.
“La chiamata di Papa Francesco è stato un piccolo trauma. La cosa più bella è stata quando ho cercato di distogliermi, pensando ci fossero persone più adatte di me. Ma la sua risposta è stata: <<Continui a pensare che ci sono tante persone meglio di Lei, ma venga Lei, per favore>>”.
“Ho proposto come lettura degli Esercizi un libro di un confratello siriano, che vive ad Aleppo. Non l’ho fatto con coscienza piena, è stata la Provvidenza. Questa ispirazione è nata perché poco prima degli esercizi era arrivato in convento quella testimonianza, donataci da Padre Ibrahim. Volevo che la passione di Gesù su cui ho predicato a Papa Francesco e alla Curia romana avesse un corrispettivo attuale. Volevo che la storia di una comunità cristiana e non solo, che soffre la guerra, incrociasse la passione di Gesù. La realtà di oggi spiega la realtà di Cristo e viceversa”.
“Papa Francesco mi ha ringraziato ma mi ha anche raccontato un aneddoto di un predicatore che, grazie alla sua capacità oratoria, aveva fatto del bene. Mentre confessava un gran peccatore, gli chiese: <<qual è stata la parola che ti ha fatto convertire?>>. E il peccatore rispose: <<quando Lei ha detto “giriamo pagina”>>. È un aneddoto noto per dire che siamo strumenti. Dio sa prendere anche dalle piccole cose, cui noi nemmeno pensiamo”.
“Bergoglio ha scelto di chiamarsi Francesco perché c’è bisogno di questo. In questo momento Francesco intercetta il bisogno della Chiesa di tornare a vivere una dimensione feriale e delle periferie. In fondo è quello che faceva Gesù. La dimensione della povertà, che noi cerchiamo tutti di vivere, ha qualcosa da dire. Si può annunciare il Vangelo se si cerca di essere coerenti, altrimenti non è credibile. La Chiesa è più credibile se vive anche una dimensione distaccata dai troppi beni che possediamo”.
“Alle parole guida della nostra presenza nel mondo, povertà, pace, creato, dobbiamo aggiungere la parola Uomo. Il Creato può essere equivocato in una forma di ecologismo. La povertà può diventare pauperismo o forma di accattonaggio, di disimpegno. La Pace può trasformarsi in irenismo. Il cuore è l’Uomo, il Cristianesimo è una religione che ci porta ad un Umanesimo vero. E quindi se queste tre categorie ci riportano all’uomo, ci portano anche al Vangelo. E viceversa”.
20 Aprile 2017