Padre Lombardi, voce di molti Papi: “Ho cercato di dare spazio al protagonista della comunicazione: il Papa al servizio di Gesù Cristo”
Ama le montagne. E’ piemontese. E’ gesuita. Non è il Papa, ma la voce di molti Papi ed è anche lui microfono di Dio. Padre Federico Lombardi, matematico e giornalista, per anni è stato direttore di Radio Vaticana, della Sala Stampa Vaticana e oggi è Presidente della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger.
“La matematica è un esercizio intellettuale. Educa al rigore, alla chiarezza di pensiero, alla sinteticità. Quando ci si addentra diventa un mondo in cui uno familiarizza con un linguaggio che in realtà è anche il linguaggio nascosto nella natura, nella realtà che ci sta attorno. Già gli antichi dicevano: “Dio fa le cose in modo geometrico”. Su questo aspetto ho molto riflettuto, soprattutto al termine dei miei studi di matematica, e l’ho ritrovato nel pensiero di Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI. Ciò che attira l’ammirazione nei confronti della riflessione di un matematico, che è anche attento allo spirito, è questa corrispondenza tra il linguaggio matematico, che la nostra mente riesce ad elaborare, e la realtà ‘matematica’, che è insita nella creazione attorno a noi. Come mai c’è una stessa struttura, una stessa ragione, che soggettivamente si ritrova nell’esercizio della nostra mente, ma oggettivamente si ritrova nella realtà che ci circonda? Questo fa pensare che ci sia una ragione comune, al di sopra, che è l’origine comune della ragione soggettiva che è dentro di noi e della ragione oggettiva che è nelle cose. “
“Il linguaggio matematico e la realtà della scienza empirica arrivano ad un certo limite nella conoscenza e nella descrizione della realtà. Se pretendono di dire tutto, allora si entra nell’assurdo, in una limitazione della ragione che le impedisce di salire alle altre dimensioni del ragionamento e della riflessione sulla vita, sulle grandi domande, sull’origine delle cose e sul senso delle cose”.
“La scienza ci pone domande belle e importanti sul mondo attorno a noi, però non dà le risposte ultime. Bisogna riconoscere che c’è un ulteriore cammino, che possiamo o dobbiamo intraprendere per cercare di raggiungere una verità più complessa. Benedetto XVI lo diceva molto bene: non dobbiamo limitare il campo della ragione, ma dobbiamo avere una ragione ampia, larga, capace di comprendere le diverse dimensioni dell’esperienza umana e della vita attorno a noi, perché altrimenti ci impoveriamo e ci chiudiamo in un mondo limitato…”
“Da ragazzo ero stato a scuola dai gesuiti, quindi li ho conosciuti e mi è stato abbastanza spontaneo, dato il buon rapporto che ho avuto con i miei educatori, rispondendo ad una vocazione religiosa, di pensare di andare sulla loro strada.
“Avevo poi mio zio Riccardo, “che chiamavano “il microfono di Dio”, che era gesuita…era molto noto come un grande predicatore, ha fondato il ‘Movimento per un mondo migliore’, che lo ha portato a predicare e a dare un contributo di formazione di carattere ecclesiale e pastorale anche negli altri continenti, in particolare in America latina. Le volte che l’ho incontrato, mi fece una grande impressione per l’intensità con cui parlava dell’esperienza spirituale e della missione di annunciare il Vangelo del Signore, che si incarnasse in impegno, in missione. Lui ha avuto un forte impatto perché ha predicato soprattutto negli anni successivi la Seconda guerra mondiale e in quel periodo, in Europa, c’era un gran bisogno di incoraggiamento, di speranza, per ricostruire il mondo. Era un punto di riferimento non soltanto per le sue parole, ma anche per i suoi scritti, intrisi di spiritualità. Lui ha elaborato un metodo, una scuola di formazione, per una spiritualità comunitaria nella Chiesa, per cercare di far sì che tutte le componenti della comunità ecclesiale si sentissero mobilitate a costruire il popolo di Dio e un servizio alla società”.
“Il lavoro di comunicatore, alla Sala Stampa, alla Radio Vaticana, è stato molto coinvolgente Considero un privilegio, una grazia, essere stato al servizio di Papi quali Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco. Ho sempre concepito il mio ruolo come un modestissimo servizio per il grande compito svolto dai Papi. Per questo ho sempre cercato di dare spazio al protagonista della comunicazione: il Papa al servizio di Gesù Cristo“.
“Giovanni Paolo II era un ‘maestro di popoli’, capace come autorità morale e come capacità espressive di comunicare efficacemente anche con i popoli interi, con messaggi autorevoli che li chiamassero alla loro responsabilità davanti alla storia. Per quanto riguarda Benedetto XVI ho un’ammirazione grandissima per la profondità, la linearità e l’ordine del suo pensiero. Un pensiero profondo, in cui la teologia si unisce alla spiritualità e raggiunge una capacità espressiva, anche linguistica, di grandissimo livello. Un comunicatore straordinario in questo genere di comunicazione, non nel dialogo con le masse, ma come sviluppo ordinato del pensiero. Papa Francesco ha invece questo dono eccezionale della prossimità, della vicinanza, l’eliminazione di ogni forma di barriera. Fa vivere al suo interlocutore il senso di una presenza, di una vicinanza totale, senza nessuna riserva. Presenza con il cuore, presenza con la mente, presenza che si fa interprete della presenza e dell’amore di Dio.
I media, i comunicatori, in quanto bravi professionisti, capiscono anche queste cose, e quindi capiscono il diverso dono, il diverso carisma, che questi grandi comunicatori hanno, e se sono bravi riescono a farsene interpreti e a portare questo messaggio e questo stile anche agli altri. I comunicatori devono comprendere il positivo, il bello, il dono, che ognuno ha per diventare collaboratori nel diffondere questo messaggio e questo stile nel mondo. A volte domina l’abitudine di leggere le cose in termini rozzi, di contrapposizione di interessi, anche all’interno della vita della Chiesa.
“Il processo per vatileaks 2 era necessario perché c’era una legge, ed è stata violata. Questo riguarda non il diritto canonico o la comunità della Chiesa dal punto di vista del suo governo spirituale e sacramentale, ma l’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano. Un ordinamento ‘terreno’, ma in cui ci deve essere una giustizia e la sua conseguente amministrazione. Il processo è fatto apposta per cercare di stabilire la verità dei fatti e le responsabilità: i giornalisti sono stati chiamati in giudizio perché c’erano motivi fondati per pensare che avessero svolto un ruolo in modo non corretto nell’avere queste notizie. Sono stati prosciolti appunto perché non c’erano i motivi per la loro condanna”.
“Certamente l’esercizio della libertà di stampa non è assoluto, se uno ha ottenuto delle notizie ricattando delle persone, oppure minacciandole, può essere perseguito per il modo in cui se le è procurate, oppure se uno rivela notizie che provocano dei gravi rischi per l’ordine pubblico e per la pace, è un irresponsabile nel pubblicarle. La libertà di stampa non è un diritto assoluto, resta il fatto che non bisogna limitarla arbitrariamente e non bisogna vincolarla se non ce n’è un vero bisogno. In questo caso, c’era una legge che di fatto vietava la pubblicazione, però è una legge che vale per i funzionari vaticani, quindi i giornalisti che avevano ricevuto queste notizie senza svolgere un’attività di per sé scorretta e le hanno pubblicate – il tribunale ha anche detto che non erano notizie che avrebbero provocato grandi rischi – sono stati considerati non colpevoli”.
“naturalmente il giudizio etico è altra cosa: Il modo in cui un giornalista svolge il suo compito, lo stile in cui propone una notizia, il modo in cui sceglie di pubblicarla o meno, sono tutti aspetti su cui naturalmente si può riflettere e riscontrare diverse responsabilità”.
“’Vatileaks 1’ e ‘Vatileaks 2’ sono due vicende ben diverse. Nel primo c’è l’aspetto umano, molto doloroso, per il coinvolgimento di una persona di cui il Papa, Benedetto XVI, aveva personalmente fiducia e che l’ha tradita. Nel secondo caso si trattava di documenti che erano stati raccolti per una determinata funzione, che però sono stati utilizzati scorrettamente. Ma è stato meno drammatico, meno penoso.”.
“La Fondazione Ratzinger che presiedo è un’iniziativa molto semplice. Sulla base di un fondo che raccoglie i proventi dei diritti d’autore dei libri scritti da Ratzinger come teologo, prima del pontificato, si promuovono delle attività nel campo della teologia: i frutti che vengono dal suo lavoro teologico vengono reinvestiti a favore dello studio e della ricerca teologica e nelle scienze affini, secondo lo spirito di Joseph Ratzinger, che ha dedicato a questo gran parte della sua vita e che è molto interessato in questo campo.
27 Aprile 2017