L’umiltà e il servizio, vaccini contro il potere
Cesare Romiti, 93 anni. Amministratore delegato di Alitalia, Fiat soprattutto, per 25 anni a fianco dell’Avvocato, poi di Impregilo, di RCS… Un nome che è stato il potere, intrecciato con le vicende della storia imprenditoriale e della storia del Paese, dal terrorismo alla crisi economica, a Tangentopoli. In un ritratto intimo, assolutamente inedito, si racconta a Soul, sabato 21 alle 12.20 e alle 20.45: la sua famiglia umile, l’esercizio del potere, i rimorsi, la sua dedizione segreta ai terremotati di Amatrice, il suo legame col Cottolengo.
Essere potenti e non sentirlo
Non ho mai avuto coscienza di essere uno degli uomini più potenti e temuti d’Italia, me lo hanno detto in tanti: me ne sono accorto dopo, una volta passati i momenti importanti in cui questo forse è stato vero.
Dormo bene, come Papa Francesco
Nel complesso mi sento fortunato, anche se ho avuto una vita tribolata, piena di vicessitudini e apprensioni, non ricordo di aver passato un periodo della mia vita tranquillo. Ho sempre dormito bene, è quello che mi dava la forza di affrontare gli argomenti e i problemi che dovevo risolvere. Papa Francesco dice che “dorme come un legno”. Ha ragione. Lui è un uomo semplice, che parla come tutti vorremmo parlare, spesso invece vogliamo apparire meglio di ciò che siamo
L’esercizio del potere, la mia esperienza in FIAT
Quando sono andato in FIAT era parecchio tempo che Gianni Agnelli mi faceva la corte, io stentavo perché molta gente mi diceva di non andare a Torino, perché lì erano rigidi, si “vestivano come i soldati”, le donne in ufficio “portavano le tuniche”… Mi avrebbero annientato, dicevano, perché ero uno estroverso, un romano verace. Più dicevano così più mi veniva la voglia. Allora la Fiat aveva circa 52mila dipendenti e nel mondo 2600 società, era un impero anche se il gruppo non attraversava un periodo brillante. Sono andato solo senza portare collaboratori e dopo un anno ho chiamato il nipote del banchiere Mattioli, che avevo conosciuto in Alitalia. Così si esercita il potere, passo dopo passo, senza favoritismi, secondo me.
Umiltà vaccino contro i pericoli del potere
Il potere può dare alla testa, io sono stato protetto, non me ne sono mai accorto e per questo non ho avuto il pericolo e il contagio. Vengo da una famiglia umile, mio padre era un impiegato statale, andavo a scuola a piedi perché non avevo i soldi per pagarmi il tram e ho fatto tanti lavori. Questa condizione mi ha spinto alla ricerca del successo, non del benessere. Mi ricordo che da ragazzo, quando al liceo ho cominciato a ragionare su cosa fare nella vita, il mio pensiero era di avere successo, di eccellere. Talvolta dicevo “ecco, se non riuscirò ad essere qualcuno di importante, allora voglio fare il sindaco del più piccolo paese d’Italia.” Avevo visto un film spagnolo “Calabuig”, in cui uno scienziato capita in un villaggio di pescatori: si accorge che il mondo era diverso da come aveva pensato e trasforma questa comunità, insegnandogli le cose della vita e rendendoli felici. In Alitalia e Fiat ho avuto sempre l’intento di lavorare per il bene comune.
La sua storia, la Storia di un Paese
Ho vissuto la Storia, ho incontrato tanti personaggi, italiani e stranieri. Il mio carattere mi ha portato ad avere anche rapporti tesi con alcuni di loro. Non ho mai preso questi episodi come motivo di vanto, ma come occasioni per andare in fondo alla mia ambizione, il successo nella vita contemperato con le esigenze pubbliche. Non ho mai avuto uno spirito di malanimo o vendetta, nessuno di questi sentimenti.
Le imprese e la politica, rapporti rischiosi
I patti delle imprese coi partiti hanno avuto molta responsabilità. Nel primo dopoguerra non si aveva nulla e si cercava il massimo del benessere possibile. Il popolo italiano ha avuto tante difficoltà, tanti sacrifici. Io ricordo i miei. Appena finita la guerra ero orfano di padre, eravamo io mia madre, una sorella e un fratello. Ricordo gli stimoli della fame, sono cose che si fermano nella memoria che ti temprano. Poi piano piano questo legame proficuo si è deteriorato e i rapporti tra politica e imprese sono stati nella maggior parte brutti. Erano rapporti do ut des, rapporti in cui o si chiedeva o ti chiedevano di fare qualcosa.
Il processo di Tangentopoli
L’episodio dell’accusa di Tangentopoli per me si è risolto con assoluzione completa. Io sono stato processato a Torino, perché avevo collaborato con i giudici di Milano che erano i più famosi, come Di Pietro, Borrelli, Davigo. Avevo scritto un articolo sul giornale invitando gli imprenditori che erano oppressi da richieste da parte del mondo politico ad uscire fuori e ribellarsi. Quando i giudici di Torino vollero indagare anche loro, ora posso dirlo, erano un po’ invidiosi dei risultati raggiunti perché i giudici di Milano erano arrivati prima.
Il primo incontro con i magistrati
Non fu un patteggiamento, fu spontaneo, mi ricordo la prima volta che mi telefonarono e li incontrai tutti e tre. Ci dovevamo incontrare in un posto per fare in modo che la stampa non lo sapesse, poi lo seppero tutti il giorno dopo: l’ufficio del questore di Milano. C’erano Di Pietro, Colombo e Davigo. Stemmo lì due ore e facemmo una conversazione molto tesa.
La corruzione non è finita, ma ha cambiato veste
Essere capaci politicamente e corrompere sono anche cose che possono andare assieme, di per sé, anche se io non sono d’accordo. Allora c’era questa corruzione, ma tutta l’operazione Mani Pulite non arrivò ai risultati che avrebbe potuto raggiungere, perché avrebbe dovuto indagare non solo sulla corruzione ma anche sulla concussione e su tutti quanti i partiti… Quell’operazione sembrava una svolta del modo di vivere, in Italia, ma non ebbe il risultato che ci si attendeva. Oggi c’è una corruzione latente. La corruzione per sé e non per il partito. E’ una corruzione diffusa. Chi è che non pagherebbe 100 euro per passare una fila? La corruzione è ridotta ai minimi termini.Io mi vanto di non essere mai stato corrotto
Enrico Cuccia e il suo esempio
Enrico Cuccia era un uomo di grandissima capacità imprenditoriale e di lavoro, aveva successi per questa ragione. Aveva il suo carattere e il suo modo di fare, ma la gente si fidava di lui e andavano a raccontargli tutto. Mi ricordo che fu interrogato da un giudice che gli chiese se avesse mai visto dei bilanci falsi. Lui rispose che vedeva solo bilanci falsi: “la gente viene da me per raccontarmi le cose che non vanno, per cercare di avere un aiuto”
Le banche hanno problemi di conduzione
La questione del sistema bancario è un problema di management delle banche, di come si conducono: c’è una tale scarsità nella conduzione di queste aziende, sia per le banche come in altri settori che ci porta, come in Alitalia, a conclusioni come il “salvataggio” delle banche. Sono stato per un periodo in Alitalia e conosco le difficoltà in ambito dell’Aereonautica: so cosa significa competere con il mondo come accade nell’aviazione; bisogna stare lì, lavorare con tenacia. Il logo sulla coda degli aerei Alitalia l’ho fatte fare io, esiste ancora oggi, allora era l’unico tricolore che si poteva vedere. Avevamo dato l’incarico ad una società americana che studiò questo logo e funzionò così bene che rimase nel tempo.
La Fiat nel sangue
Mi fa male sentire oggi quello che si dice de la Fiat. Io ce l’ho nel sangue, sono stato 25 anni lì, anche se ho attraversato momenti stupendi e altri terribili. Non so dire se il Paese debba di più alla Fiat o viceversa. Allora la fiat era considerata quasi una compagnia di bandiera, ma all’inizio Agnelli non era nessuno. Ho sempre detto che di Fiat on parlo, mi fa troppo male vedere quello che capita oggi
Giovanni Angelli, una tacita amicizia
Quando ho lavorato con Giovanni Agnelli non ci siamo mai dati del tu, in tutti i 25 anni e ci vedevamo praticamente tutti i giorni. Un giorno ce lo siamo detti. In Fiat tutti si davano del lei era anomalo darsi del tu, a Torino. Mi disse “Veda Romiti, lei se ne è accorto che continuiamo a darci del lei, io penso che sia più intimo e affettuoso del tu”. Io volevo bene ad Agnelli, eravamo amici ma non ce lo siamo mai detti.
La fortuna ricevuta, responsabilità di restituzione
Ho sempre pensato di essere stato fortunato, mi sentivo obbligato alla restituzione, avevo una responsabilità verso gli altri, anche quando dirigevo Fiat ed ero un uomo potente.
Beneficienza per i terremotati, senza politica
Di beneficenza credo di averne fatta abbastanza, soprattutto in questi ultimi anni con le ultime vicissitudini disastrose, i terremoti. Mi è venuto lo scrupolo e per L’Aquila mi sono molto attivato, chiesi a Gianni Letta di introdurmi presso il vescovo e ho fatto della beneficenza abbastanza notevole, ma non ho riportato una soddisfazione personale perché non ho saputo bene l’esito. Con il terremoto del centro Italia ho detto “voglio occuparmene io” e me ne sono occupato di persona. Non voglio più politici né parlare con i sindaci, voglio trovare persone che mi indicano in quelle zone quali sono le famiglie più bisognose, voglio decidere io vedendole una a una vedendo cosa posso fare. E così sto facendo
I rimpianti, solo ora conosco veramente i bambini
Ho uno grosso rimpianto che mi riguarda personalmente. Io ho avuto un matrimonio felice, ho avuto figli e nipoti a cui sono molto attaccato. Adesso è nata una pro-nipote da circa 3 anni e solo oggi mi sono accorto di cose che non sapevo esistessero, non sapevo come un bambino reagisce, com’è un bambino e come cresce: ho lavorato così tanto che non ho conosciuto né i miei figli né i miei nipoti. Il primo bambino che veramente conosco è stata la mia pronipote.(piange)
Il Cottolengo, per cambiare sguardo sulla sofferenza
C’è una persona, anche lei è in “pensione” ma che ancora si cura del Cottolengo: suor Giuliana Galli, una donna piccola, minuta, molto colta e brava. L’ho conosciuta per caso a Torino quando ero nel “vigore” del potere e vidi questa donna umile che mi ha accompagnato in alcune occasioni e mi ha veramente commosso. Dicevo che nella mia vita al Cottolengo non ci avrei mai messo piede: il pensiero di vedere gente che soffre e non poter far niente non lo accettavo. Giuliana mi invitò promettendomi di farmi vedere la serenità che c’era al Cottolengo, fino a che ho accettato di andare. Quando abbiamo cominciato la visita e abbiamo visto i reparti, molto belli e puliti, in cui come diceva suor Giuliana non mi pareva ci fosse disperazione, ma anzi serenità. Ad un certo punto suor Giuliana mi disse che eravamo arrivati in fondo e che mancava una ultima parte una parte più difficile da capire. Mi disse “vuole andare avanti o fermarsi?”. Sono andato avanti per mano a lei, e siamo entrati in una stanza. C’erano 5-6 bambine tra i 5 e i 7 anni: giocavano a carponi per terra e ce n’ era una che vedevo dall’alto, bionda, coi capelli sulle spalle. Mi venne spontaneo di prenderla e di alzarla: non era cieca… proprio non aveva gli occhi. (piange)
Non esiste una colonizzazione cinese
Non è vero che i cinesi stanno colonizzando e anche drogando il mondo del calcio, basta andare a vedere la Cina per capire che non è un paese ma un continente, tante razze, poveri con vicissitudini gravi, la dittatura comunista che oggi ancora c’è, anche se attenuata. Certamente la cosa più importante per un popolo è la libertà ed in Cina di quella individuale non ce n’è tanta, come paese però ha tantissimi meriti.
Vendete tutto tranne la Juventus, è una tradizione
Tutte le squadre sono vendibili tranne la Juventus che è una tradizione, infatti mi addolora che la Fiat che era una tradizione sia stata venduta. Quando ero a Torino ho conosciuto i “ragazzi” della Juventus che ancora mi telefonano o li vedo. Romanista o Juventino? Me lo chiedevano tanto che ad un certo punto ho risposto che Roma era mia moglie per sempre e la Juventus la mia amante, che si ama moltissimo ma la si lascerà un giorno…
I terremotati, aiutarli è il mio desiderio più grande
Il mio desiderio oggi è risolvere il problema dei terremotati, sono andato diverse volte sul posto, ho visto e parlato con le persone, ho individuato 20 famiglie a cui do un sussidio mensile da novembre fino alla fine dell’anno prossimo. Conosco il loro essere, il loro modo di fare e ogni tanto mi informo, gli telefono per sentire come va. Tra questi un ragazzo vittima del 24 agosto che è ancora ricoverato a Roma in convalescenza. Poi una bambina di 3 anni alla quale ho chiesto di raccontarmi, “io ero con la mia mamma sul letto e stavamo assieme sdraiate, ad un certo punto il letto è caduto” il pavimento era sprofondato ed era andato al piano inferiore. “avevo tutta la calce addosso, tutti i mattoni addosso” Continuo a seguirli, a parlargli e sentirli. Oggi ho una seconda missione, piccola. Un grande dono di umanità che mi fa bene.
A Cura di Giuliano Cattabriga
19 Gennaio 2017