Applicare la Costituzione per combattere le mafie
Franco Roberti è napoletano e uomo di legge, ha assunto il compito che fu di Giovanni Falcone: è procuratore nazionale antimafia dal 2013 dopo una lunga carriera da magistrato, da servitore dello Stato. Sabato 18 marzo è ospite di Soul, alle 12.20 e alle 20.45 su Tv2000.
“Conobbi Giovanni Falcone a 37 anni nel 1984 per motivi di indagine: ci trovammo a fare due indagini collegate. Lui a Palermo, quella che avrebbe portato al primo maxi-processo, ed io svolgevo indagini nei confronti di una organizzazione camorrista legata alla famiglia siciliana dei Corleonesi. Ci trovammo sul campo sullo stesso fronte e cominciammo a collaborare allora e continuammo fino al ’92.”
“La prospettiva di collaborare con la giustizia fa parte del bagaglio professionale di un magistrato inquirente che deve prospettare questa possibilità ai criminali, rendendo possibile di parlare e raccontare le vicende criminali in cambio di qualcosa. Lo Stato offre la protezione per i collaboratori e le loro famiglie, un sostegno economico e una nuova vita che possono scegliere di fare, collaborando con lo Stato.”
“Superando l’atteggiamento istintivo di repulsione, rabbia e riprovazione si può capire che davanti a te c’è un uomo che può essere recuperato e può fare una scelta di rottura con il proprio passato criminale. Tu puoi aiutarlo nell’avvio di questo percorso, naturalmente si deve creare un rapporto di fiducia, tra magistrato e collaboratore. Con questo rapporto, prima psicologico e poi operativo, si riescono ad ottenere collaborazioni importanti che ci hanno consentito negli anni ’80 e ’90 di distruggere alcune organizzazioni criminali. Il merito va più ai collaboratori di giustizia rispetto ad altri mezzi di indagine. Contro le mafie negli ultimi 20 anni sono state fatte tantissime cose, sia sul piano personale e militare che sull’aggressione dei patrimoni illeciti.”
“Purtroppo per alcuni magistrati c’è molto presenzialismo sulla scena pubblica. Io, invece, ho fatto una scelta sin dall’inizio della mia carriera di non essere il più possibile un “personaggio”, di fare il mio lavoro in silenzio, dando un contributo quando serve all’informazione. La giustizia vive anche di corretta informazione: i cittadini devono sapere come opera la giustizia, come lavorano i magistrati, conoscere un’attività che è svolta nell’interesse dei cittadini. Le sentenze vengono pronunciate “nel nome del popolo italiano”, non è una formula, ma una sostanza delle cose. L’informazione, però, deve prescindere dalla personalizzazione delle informazioni, senza creare personaggi tra i magistrati, cosa che spesso nuoce all’immagine della Giustizia”
“Non scenderei mai in politica, non ho mai pensato a farlo. Ho molto rispetto per la politica, è la più nobile delle attività umane quando è volta al bene comune e dei cittadini. Quando ha interessi personali, di gruppo o di lobby, invece, è la più bassa. La gente ha questa percezione, ma ho conosciuto tanti esponenti politici che sono persone veramente intenzionate a ben operare nell’interesse dei cittadini. Spesso prevalgono le logiche dei partiti, di gruppo, di appartenenza o quelle mafiose. Questo inquina la vita politica, come quella civile, l’economia e il mondo delle professioni. Bisogna combattere contro tutto questo. Non ho nulla contro i magistrati che scelgono di passare in politica, ma dovrebbero non tornare più nell’attività giurisdizionale una volta finita la vita politica, tornando nel settore pubblico e nella pubblica amministrazione, con ruoli diversi da quelli di giudice o pubblico ministero.”
“Bisogna distinguere caso per caso le situazioni di sovrapposizione tra legge e giustizia. I magistrati hanno giurato fedeltà alla Costituzione: siamo chiamati a tutelare i diritti di tutti i cittadini che è l’essenza dell’attività giurisdizionale. I magistrati non si sostituiscono al legislatore, ma cercano di raccogliere la domanda di giustizia che proviene dai cittadini. Credo che in un rapporto di reciproca e leale collaborazione i magistrati devono anche dare indicazione al legislatore, quando non interviene a dovere prima, senza fare qualcosa di creativo ma una interpretazione estensiva non spinta da ideologie. Unico quadro di riferimento ideale è la Costituzione, siamo chiamati ad applicare la Costituzione facendo scelte interpretative orientate secondo i principi costituzionali.”
“La paura è un sentimento umano che prende tutti. Dire di non avere paura è da incoscienti, bisogna guardare in faccia alle proprie paure e alle loro cause, capendo che la paura non serve ad impedire la morte, ma sicuramente impedisce la vita e la libertà, condiziona il nostro essere: bisogna vincere le proprie paure. La strada è innanzitutto conoscere la verità delle cose, andare a fondo e capire rendendosi conto che spesso le paure non hanno ragione di essere.”
“Ho avuto dei momenti in cui sapevo di essere oggetto di attenzione, ma sono stato comprensibilmente attento seguendo diligentemente quello che mi era stato prescritto per la mia sicurezza. Io ho la scorta da 35 anni ininterrottamente e non è una vita facile. Per quanto bravi possano essere gli uomini della scorta è sempre un condizionamento della propria vita: significa essere soggetti a delle limitazioni, a certe attenzioni, comportamenti da tenere o da cui astenersi. Io l’ho accettato perché fa parte del mio lavoro che amavo. Non ho mai avuto veramente paura, sono stato attento perché se lo stato ti protegge vuol dire che fa un investimento su di te.”
“Sono profondamente napoletano, conosco benissimo la realtà della mia città e della Campania in generale. La presidente Bindi, quando sostenne che la Camorra è una dimensione costitutiva di Napoli, usciva da un audizione che aveva fatto con me e con il procuratore di Napoli Giovanni Colangelo. Qui avevamo detto questo concetto: la Camorra per secoli, almeno 200 anni, ha costituito una componente strutturale della società napoletana, radicata nel sottoproletariato urbano e poi propagatasi nelle altre città e in particolare paesi della provincia di Napoli e di Caserta. Se diciamo questo non si tratta di offendere o generalizzare: la mentalità camorristica, cioè di sopraffazione, di abuso, di vivere sulle spalle degli altri, il do ut des, è purtroppo una realtà ancora esistente in parti della realtà campana, anche se meno di prima. Vale la stessa cosa per la ‘Ndrangheta, per la Sicilia, per la Puglia, dove si sottovaluta la criminalità foggiana, da non confondere con la Sacra Corona Unita.”
“L’embrione delle organizzazioni criminali esisteva prima dell’Unità d’Italia. Questa non ha risolto il problema, ma lo ha aggravato con uno sviluppo economico che ha privilegiato le aree dell’Italia centro-settentrionale e ha trascurato il Sud. Da questo se ne può uscire applicando delle politiche che superino le disuguaglianze sociali crescenti. Tutte le organizzazioni mafiose si ingrassano nelle disuguaglianze sociali, fanno affari con i ricchi senza scrupoli e reclutano la manovalanza criminale tra i poveri, i disperati, gli esclusi e gli emarginati. Superare questo gap, questa forbice tra troppo ricchi e troppo poveri, sarebbe la prima azione politica contro le mafie. Nella prima parte della Costituzione sono scritti i principi che non devono mai essere cambiati. La loro piena attuazione sarebbe la migliore strategia e politica contro le mafie. Altrimenti queste organizzazioni si sostituiscono allo Stato, anche se spesso si alimentano dei rapporti incestuosi con i poteri, economico, politico e quello delle istituzioni.”
“Oggi sono i politici a cercare i mafiosi e non più tanto l’inverso, ce lo dimostrano tanti accertamenti e tante indagini. C’è sempre stato un rapporto di reciproca funzionalità tra politico, imprenditore e mafioso: 3 poli che con il tempo hanno collaudato l’utilità e la proficuità di coltivare questi rapporti. Il politico ha bisogno del mafioso e lo cerca quando ha bisogno di sostegno elettorale. Secondo una logica di certi politici, fare gli affari e avere rapporto con un mafioso era politicamente producente perché segno di potere. Lo stesso vale per l’imprenditore che, soprattutto in un momento di crisi economica e difficoltà di accesso al credito legale, si rivolge al mafioso per farsi finanziare: attraverso il finanziamento dell’imprenditore legale e apparentemente onesto ricicla e moltiplica i propri profitti illeciti. Bisogna spezzare questi rapporti. La corruzione è uno strumento tipicamente mafioso con la quale si entra nelle istituzioni e nelle economie più facilmente che con le intimidazioni, queste servono piuttosto a garanzia dei patti corrotti.”
“Il terrorismo islamico e la Mafia sono due fenomeni diversi e distinti. Abbiamo verificato, però, che alcune tecniche investigative utilizzate per controllare il piano del finanziamento del terrorismo vengono utilizzate anche per il contrasto al riciclaggio mafioso. Pur essendo due fenomeni diversi hanno qualcosa in comune. Le organizzazioni terroristiche transnazionali si muovono come soggetti mafiosi, autofinanziandosi con attività tipicamente criminali come l’omertà, il ricatto, il sequestro di persona, l’omicidio, il traffico di droga, il contrabbando di merci e di uomini, il controllo e il traffico dei migranti. La mafia transnazionale usa gli stessi strumenti del terrorismo internazionale, per questo si usano gli stessi strumenti ed è necessario svolgere indagini coordinate, scambiare tempestivamente informazioni, svolgere attività anche a livello di cooperazione internazionale.”
“L’urgenza da migliorare è quella della cooperazione internazionale perché molto spesso i beni mafiosi vengono esportati in altri paesi dove c’è meno pressione investigativa, meno consapevolezza della gravità del fenomeno e della pericolosità dei patrimoni mafiosi. Per questo sfruttano le disuguaglianze normative-organizzative, andando a collocare i loro interessi dove c’è meno pressione. Lo stesso vale per il terrorismo, arrivando alla prevenzione, togliendo dalla circolazione soggetti pericolosi.”
“Siamo stati ricevuti con la DNA in udienza particolare dal Papa, il quale ha fatto un discorso straordinario. Ne sentivamo la necessità, avevamo il bisogno di raccontare a papa Francesco le nostre esperienze e di avere la sua benedizione. Non è vero che siano tutti “rossi” i magistrati e se anche fosse non significa essere atei. Sono anche venuti colleghi non credenti, ma che credono in Papa Francesco, nel suo messaggio, nel suo magistero e nel suo insegnamento: hanno avuto il piacere e l’onore di poter parlare e dialogare con lui. Papa Francesco è una delle poche autorità morali universalmente riconosciute e su alcune cose ci si può incontrare. Infatti lui ci ha dato una lezione straordinaria sul tema della corruzione ed è stato veramente un discorso bellissimo che ci ha toccati molto e che serberemo nel nostro ricordo e memoria anche come modello e guida.”
Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, è ospite di Soul Sabato 18 marzo alle 12.20 e 20.45.
A cura di Giuliano Cattabriga
18 Marzo 2017