Epifania del Signore, 6 gennaio
L’annuncio che risplende per il mondo
“Alzati, rivestiti di luce”: la parola profetica rivolta a Sion la invita a trasformarsi in un segnale luminoso. Gerusalemme mostra a tutti i popoli lo splendore che le viene da Dio.
L’arroganza e l’orgoglio avevano degradato Sion a città del disordine prima, ed esempio di rovina e fallimento poi; la grazia divina la trasforma in luce: la gloria di Dio, che brilla su Gerusalemme, la trasfigura, la abilita a trasmettere a tutti i popoli il messaggio della grazia.
Con grande lucidità e lungimiranza nel libro di Isaia il ruolo di Gerusalemme come faro dei popoli è visto come già attuabile. Da subito Gerusalemme è invitata a rivestirsi di luce, perché i popoli possano cominciare a muoversi verso di lei. Notiamo il contrasto tra il fiducioso comando del profeta nella prima lettura, e l’atteggiamento diffidente e sconcertato di Erode e degli abitanti di Gerusalemme. Da un lato essi si sentono, giustamente, depositari delle Scritture, eredi della promessa divina; dall’altro, non sanno interpretare la venuta dei Magi come il segno che quelle promesse si stanno compiendo.
Falsa mondialità, falsa globalizzazione
Erode e gli abitanti di Gerusalemme hanno in mano la chiave di comprensione di ciò che sta accadendo: a Betlemme nascerà il Salvatore. Quasi con indifferenza la consegnano ai magi: il loro cuore sembra chiuso a quella parola che pure annunciano. Anche nel nostro tempo sta accadendo qualcosa del genere: da anni si sta vedendo una crescente interrelazione tra tutti i popoli, tra tutte le parti del mondo. Il fenomeno è chiamato con il nome di globalizzazione, e si riconosce che esso non può reggere senza una crescita anche nella democrazia, nella giustizia, nella pace tra i popoli. Con grande incisività papa Francesco parla di una globalizzazione della solidarietà. Purtroppo, però, non sta crescendo la pace, non sta crescendo la democrazia, nuovi conflitti sempre più feroci sembrano dilagare tra i popoli. L’euforia di profitti sempre crescenti su scala mondiale si dilegua: se il guadagno è solo per alcuni, lasciando esclusi gli altri, il processo non è più così conveniente. I Magi mostrano la vera ricerca della verità, che è molto simile alla vera ricerca della giustizia e della pace: non è delegabile ad altri, è un impegno personale, non è possibile incamerare tutti i guadagni e scaricare su altri le perdite. Fidandosi della stella, essi devono uscire dal loro paese, entrare in dialogo con un popolo lontano, sopportare con pazienza gli intoppi nel loro cammino. Solo alla fine sperimentano la gioia della riuscita, e si accorgono del tremendo pericolo dell’inganno di Erode.
Il mistero del bambino e delle genti
La ricerca dei Magi mostra l’importanza di quel bambino che è nato. Da subito, prima ancora di poter agire, il bambino è punto di attrazione per tutti i popoli, segno di una speranza destinata a crescere. Il simbolo della stella, simbolo cosmico visibile da lontano, indica che per tutto il mondo la sua nascita ha un significato speciale, riconoscibile da tutti. Il mistero del bambino, pazientemente decodificato dai Magi, è apertamente svelato nel brano della lettera agli Efesini, proclamato nella seconda lettura.
In che cosa consiste esattamente il mistero? È possibile dare una lettura riduttiva, per cui ciò che accade è solamente una estensione ai popoli di una realtà che era già di Israele: “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità”. Potremmo dunque intendere questa chiamata come un fatto puramente quantitativo: ciò che era di pochi, ora viene aperto a molti. Il seguito del testo ci orienta verso una novità di ordine diverso, qualitativo: “a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Non si tratta dunque solo di un’apertura numerica: “in Cristo” si è instaurata una nuova realtà, di ordine qualitativo, che coinvolge sia Israele, sia le genti: essere parte “dello stesso corpo”.
Partecipare, non solo entrare
Infatti non si parla solo di “entrare”, ma di “partecipare”, di prender parte nel senso forte del termine: si viene trasformati in qualcosa di diverso, si viene identificati in una nuova realtà. Essa non è pensata come qualcosa di lontano, che dovrà accadere un giorno, ma come una realtà che “in Cristo” è già compiuta, è già operativa: attraverso il Vangelo diviene possibile essere incorporati in essa.
Per la Passione di Gesù le genti sono già dentro l’eredità di Israele; sono già unite al corpo di Cristo, sono già partecipi della promessa; manca solo l’adesione esplicita e consapevole, l’accoglienza piena del dono.
Perciò i credenti sono invitati ad aprirsi al mondo, ad abbandonare tutti i fattori di indurimento, di fissazione, di rigidità, che impediscono di accedere alla vitalità del corpo di Cristo, e di trasmetterla ad altri. Solo chi accetta di compiere un simile passaggio, può annunciare il Vangelo che permette di essere associati a Cristo.
Il movimento è duplice: la Chiesa è chiamata ad uscire, accompagnare, entrare in dialogo con il mondo; ma anche il mondo è chiamato allo stesso movimento di rottura di abitudini inveterate, di abbandono delle strutture non più rispondenti alla loro funzione dichiarata, delle leggi troppo manipolabili a favore dei più forti. La cosa è impossibile restando nella prospettiva puramente mondana: difficilmente chi si è costruito e ha acquisito privilegi sarà disposto a rinunciarvi senza difficoltà. Il ruolo della Chiesa può essere proprio quello di chi dà la spinta a un rinnovamento, di chi aiuta a ritrovare il senso e la semplicità originari.
Fonte: www.chiesacattolica.it
6 Gennaio 2019