Mercoledì delle ceneri, 6 marzo
Gl 2,12-18
Sal 50
2Cor 5,20-6,2
Mt 6,1-6.16-18
Commento
Con la liturgia dell’imposizione delle ceneri comincia il tempo forte di Quaresima, tempo liturgico qualificato come “momento favorevole” e “giorno della salvezza” (2Cor 6,2), cioè tempo appropriato per vivere la riconciliazione con Dio e con i fratelli, tempo in cui fare esperienza della gratuità della salvezza di Dio verso di noi, e tempo in cui essere strumenti di salvezza per gli altri.
Il colore liturgico che accompagna i quaranta giorni penitenziali della Quaresima è il viola, colore che esprime la penitenza, l’attesa e la speranza, la preparazione alla piena manifestazione della luce che esploderà la notte di Pasqua con il cambio in bianco dei paramenti liturgici.
Le letture di questo giorno esprimono alla perfezione i due movimenti che dovrebbero contrassegnare tutto il periodo quaresimale: due movimenti apparentemente opposti, ma in realtà convergenti nell’obiettivo. Il primo è il movimento di ritorno dell’uomo a Dio, e il secondo è il rivolgersi di Dio all’uomo.
Può sembrare che l’ordine dei due movimenti sia quello appena descritto, perché il Signore invita il suo popolo, per bocca del profeta Gioele, a “ritornare” a Lui “con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (Gl 2,12). Sembra dunque che sia l’uomo a dover fare il primo passo, a dover prendere coscienza della sua lontananza da Dio, della distanza che il peccato ha creato tra lui e il Signore, e così debba mettersi in moto per convertirsi, per ripercorrere a ritroso il tratto di strada che lo ha portato ad imboccare sentieri di morte.
Eppure il profeta, per motivare il popolo a questo ritorno, fa riferimento a un episodio della storia della salvezza, che dimostra come l’iniziativa di questa riconciliazione tra Dio e l’uomo sia sempre del Signore: Gioele cita il modo in cui Dio aveva rivelato a Mosè il Suo nome sul Sinai dopo il peccato del vitello d’oro: il Signore è “misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore” (Gl 2,13; cf Es 34,6), “pronto a ravvedersi riguardo al male” (Gl 2,13; cf Es 32,12). Dopo l’episodio dell’apostasia di Israele alle falde del Sinai (Es 32–34), Mosè non aveva ottenuto il perdono e il rinnovamento dell’alleanza facendo appello ai meriti del popolo, ma solo alla natura stessa di Dio, al Suo nome, rivelato come “il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato” (Es 34,6-7). Anche il profeta Gioele riconosce che il ritorno del popolo a Dio è possibile solo per quello che Dio è, non per quello che il popolo è capace di fare. Il cambiamento dell’uomo è in realtà possibile perché Dio è capace di cambiamento, è capace di perdono, è capace di aprire una nuova via di futuro, quando tutto pare compromesso da parte dell’uomo.
Questo è anche il messaggio dell’apostolo Paolo nella seconda lettura: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2Cor 5,20-21). Da parte nostra dobbiamo solo “lasciarci fare” da Dio, dobbiamo solo abbandonarci a una iniziativa che ha la sua origine nel Cuore di Dio, non nel nostro cuore. Il segno di questo primato di Dio nella nostra riconciliazione con Lui è, secondo l’Apostolo, la paradossalità dell’agire del Padre verso di noi: Egli ha risparmiato noi, peccatori, e ci ha donato, come strumento di espiazione del nostro peccato, il Suo Figlio, il solo innocente, perché la Sua giustizia passasse realmente in noi, in quel “misterioso scambio (mirabile commercium)” tra Dio e l’uomo, che la liturgia applica al mistero del Natale, ma che è appropriatissimo anche per la Quaresima.
In questa dinamica di dono divino della salvezza, di offerta divina della riconciliazione, dobbiamo allora intendere la “ricompensa” di cui parla la pagina del Vangelo di Matteo (Mt 6,1). Le opere che il Vangelo ci suggerisce, gli impegni quaresimali che esprimono la nostra conversione, l’elemosina, la preghiera, il digiuno, sono la nostra risposta a questa iniziativa redentiva partita da Dio: risposta che non va sbandierata, che non deve essere per noi motivo di autocompiacimento, proprio perché non ha la sua origine in noi, ma in questo atto di misericordia gratuita e infinita con il quale il Signore ci ha amati nel dono del Suo Figlio. Esercitare la carità, coltivare la comunione con il Padre nell’orazione, esercitarsi nelle rinunce ai beni relativi di questo mondo, sono esigenze che devono nascere da un cuore che ha preso coscienza di quanto folle sia stato il nostro dare le spalle a Dio con il nostro peccato, noi che siamo solo polvere e cenere; devono essere atteggiamenti di conversione che ci restituiscano all’abbraccio del Padre, che abita nel segreto, nell’intimo della nostra coscienza, e non cessa di invitarci a tornare a Lui, specialmente nel “tempo favorevole” della Quaresima, che oggi si apre.
6 Marzo 2019