Hamlet Travestie di Punta Corsara: spontaneità e freschezza!
Si può con solo dieci piccole panche che si stagliano su un fondale nero e all’interno di una scena spoglia evocare l’interno di un “basso” napoletano, un mercato, un pontile, una tomba, una prigione? Si può sovrapponendo l’immensa tragedia dell’Amleto di Shakespeare alla riscrittura burlesque settecentesca di John Poole e al napoletano Don Fausto di Antonio Petito riuscire nell’intento di creare una storia tanto chiassosa quanto struggente, tanto colorita e vorticosa quanto lineare e poetica?
Dopo aver visto Hamlet Travestie di Punta Corsara la risposta a entrambe le domande è… sì! Si può se ci si affida senza timori né compromessi al potere immaginifico della parola, come insegna il buon teatro elisabettiano; si può se si riesce a conservare spontaneità e freschezza, attingere a innata energia ed esprimere indubbia sicurezza. Tutte doti che vanno riconosciute agli attori di una compagnia nata in seguito a un’intuizione semplice, felice e anticonvenzionale, ovvero che con la cultura si può dare da mangiare al corpo, alla mente, allo spirito e che il teatro in particolare può essere un efficace antidoto ai mezzi di alienazione di massa. La compagnia Punta Corsara infatti in meno di quattro anni è passata da una prospettiva di riscatto creativo contro le difficoltà e le turbolenze del famigerato quartiere delle “Vele” di Scampia dove è sorta, a una certezza di travolgente professionalità riconosciuta e pluripremiata. E quest’ultimo lavoro ne è ulteriore conferma.
Spettacolo tra l’altro immediato nella fruizione ma articolato nella contaminazione di testi, citazioni e segni. I toni della farsa si mescolano ad accenti esistenziali, la parodia si vena spesso di lirismo. È un costante gioco di ossimori in cui si ride e si riflette, ci si diverte e si verte e converge verso momenti di nitida e affilata angoscia. Protagonista di questa vita sopra le righe una sgangherata famiglia napoletana, i Barilotto, che si arrabatta come può con un banco di biancheria al mercato rionale, assillata dal debito e dalle ritorsioni di Don Gennaro, losco strozzino in odor di camorra, e segnata dal recente lutto della perdita del capofamiglia in un incidente d’auto dagli oscuri risvolti.
I componenti di questo esilarante e volgare nucleo familiare ruotano tutti attorno alla depressione del giovane Amleto il quale, taciturno dopo la traumatica morte del padre, è incapace di sopportare la vista di un mondo alienato e famelico; si crea pertanto una coincidenza non solo nominale ma anche caratteriale con il principe di Danimarca. Non sfugge questo parallelismo tra vita e letteratura a Don Liborio, sedicente professore che persuade tutti i familiari a interpretare gli altri personaggi del dramma shakespeariano perché convinto di creare così un salutare corto circuito nella mente del giovane Amleto partenopeo. Non andrà esattamente così, anzi ci scapperà anche il morto e il “vascio” napoletano diventerà, proprio come la Danimarca, una prigione. Di totale libertà espressiva bisogna invece parlare per quanto riguarda gli interpreti: Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Carmine Paternoster, Valeria Pollice ed Emanuele Valenti, quest’ultimo vero demiurgo perché non solo autore, insieme a Gianni Vastarella (in scena nei panni di Amleto), ma anche brillante attore e sapiente regista.
di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire
14 Marzo 2016