Martedì in seconda serata

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«Spett-attore», «spett-attivo», «spettagonista». Si sprecano da anni i neologismi per ritagliare un nuovo ruolo a chi non può più starsene tranquillo a godersi uno spettacolo. Ormai da decenni proliferano kermesse in cui «tutto il palco ruota intorno a te», in pratica il luogo deputato non è più il teatro ma un qualunque altro posto pubblico o privato e si attua il ribaltamento per cui i teatranti spariscono e gli astanti agiscono e conquistano la scena. Egocentrismo, esibizionismo, narcisismo, dopati da venti anni di reality e social network, rischiano di prendere il sopravvento.

All’ interno di questo filone si inscrive anche il Pergine Spettacolo Aperto che però evita brillantemente banalità e volgarità grazie a tre peculiarità. Innanzitutto il taglio problematico evidente già nel titolo della sua 41esima edizione: «Perfect Storm», quella «tempesta perfetta» che secondo alcuni scienziati dovrebbe abbattersi entro il 2030 in seguito a una congiuntura di fattori demografici, ambientali, storici e sociali determinando una metamorfosi epocale. In pratica nel paesino dell’ Alta Valsugana si è cercato attraverso il teatro di indagare la famigerata crisi recuperando il suo significato etimologico di discernimento, scelta e opportunità. La seconda cifra distintiva del festival che ha permesso di ovviare a qualunque deriva di vanità dello spettatore protagonista della scena è stata la capacità di determinare una rete di relazioni e interazioni all’ interno della platea padrona sì della drammaturgia ma anche “costretta” a confrontarsi e ad ascoltarsi. Infine il merito indubbio sta nella scelta delle compagnie: a partire dai Rimini Protokoll, il pluripremiato collettivo tedesco, artefice di creazioni inedite che attingono alla realtà e utilizzano gli “esperti”, ovvero persone comuni che appartengono a un ambito specifico per produrre eventi su un particolare tema. A Pergine, nei salotti di appartamenti privati, hanno dato vita in prima nazionale a Home Visit Europe, Europa a domicilio. Naturalmente gli “esperti” in questo caso eravamo noi, tutti riuniti attorno a un tavolo coperto da una grande tovaglia – mappa geografica con al centro l’ Europa. Guidati da un pulsante marchingegno elettronico che scandiva tempi, forniva indicazioni e sollevava questioni, sono volate due ore fra confidenze private, riflessioni sociali, alleanze, dialettiche serrate, agnizioni, innescando così indirettamente un’ indagine sull’ identità culturale europea. Una sorta di gioco di società non scontato, leggero ma vero e che potrebbe volare più in alto se liberato da una malcelata teutonica rigidità di controllo.

Un altro gioco interattivo è «The Money» della compagnia inglese Kaleider. Il denaro è concretamente immanente e al centro della scena, del tavolo e della mente di chi entro 60 minuti lo deve gestire, investire, regalare, spendere raggiungendo una decisione unanime, pena la perdita dell’ intera somma. Ovviamente intorno al tavolo a confrontarsi, scontrarsi, imporsi o farsi da parte ci siamo sempre noi spettatori- attori. Idea arguta e spiazzante perché paradossalmente da subito i soldi cessano di essere protagonisti per lasciar spazio a un dibattito economico, etico, privato e sociale, a un “G8” in versione domestica. Complimenti al suo ideatore, Seth Honnor. E complimenti all’ intuizione della direttrice artistica del festival, Cristina Pietrantonio, che suggerisce una via d’ uscita alla «tempesta perfetta»: il play, il gioco, quello che non aliena ma che crea comunità.

di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire

12 Luglio 2016