Sipari aperti sul femminicidio
I numeri sono impressionanti. Elencarli rischia di diventare uno sfoggio che acquieta la coscienza specie in vista dell’appuntamento celebrativo che relega nello spazio-tempo della commemorazione di un giorno (vedi l’imminente ricorrenza del 25 novembre) un dramma che invece, purtroppo, non conosce limiti temporali ed è trasversale e transnazionale. Al contempo, però, obliare e omettere quei numeri sarebbe un colpevole occultamento di una verità inoppugnabile e tremenda. E allora ricordiamoli, almeno i più significativi ed eloquenti: 1.740 le donne uccise in Italia negli ultimi dieci anni, 74 solo nel primo semestre del 2016, sempre nel nostro Paese ogni 3 giorni una donna viene uccisa dal proprio partner e 6 milioni 788 mila hanno subito una violenza fisica nel corso della propria vita fino agli inizi del 2015. Numeri difficili da decodificare. Ma meno male che c’è il teatro. Non mancano infatti in questi giorni esempi sulla scena italiana di mirabile chiarezza, sintesi, verità e poesia. A partire dal Progetto Nora, titolo anche di uno spettacolo che sarà al centro di una serata evento il 12 dicembre al Teatro Marconi di Roma e che verrà poi divulgato nelle università e nelle scuole. Un poliedrico e assortito ensemble di attori (Bruno Cariello, Flavia Germana de Lipsis, Daniela Bracci e Lida Ricci) insieme all’autrice Amalia Bonagura e alla giornalista Stefania Cioccolani, sta lavorando a un’operazione caleidoscopica: informare, denunciare, ma anche incitare all’azione. Non a caso viene evocato il Premio Nobel per la pace Elie Wiesel quando affermava che «dobbiamo sempre schierarci. La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato».
Un altro appello alla responsabilità lo porta avanti già da tempo Marina Senesi con Doppio Taglio, sottotitolo: come i media raccontano la violenza contro le donne. E qui è la comunicazione tout court a essere chiamata in causa. E l’eclettica, salace e sagace attrice e autrice teatrale offre, con l’ausilio di titoli di giornali, di cartelloni pubblicitari e di immagini, un punto di vista davvero sorprendente, intrigante e inquietante: non si immedesima nel racconto della vittima della violenza, né presenta quello di un testimone o del carnefice, ma ci svela il meccanismo con cui i media rappresentano l’aggressione a una donna trasformando anche la più sincera condanna in un’arma a doppio taglio. Un esempio: la vittima ritratta in soggettiva sola, ferita, umiliata, come se il carnefice fosse di fronte a lei creando identificazione di sguardo fra noi che osserviamo questa immagine e l’aggressore. Altra situazione iconografica ricorrente presenta sempre la donna violata in primo piano con l’uomo violento assente o al limite sotto forma di ombra. Una donna che si vede così socialmente rappresentata è incentivata alla denuncia? È una delle domande che lancia Marina Senesi in questo spettacolo che sta affascinando scuole e teatri in tutta Italia. Commuove, infine, oltre che scuotere le coscienze Annamaria Spina che più di venti anni fa ha vissuto sul proprio corpo una brutale offesa quasi fatale che ha avuto il coraggio di denunciare e di elaborare poi in un vibrante monologo, Sei mia. Una frase quest’ultima, paradigmatica di una relazione alienata, che l’attrice catanese vorrebbe vedere cancellata dal lessico e dall’immaginario maschile per rimpiazzarla con un’altra, quella di san Francesco: «il contrario dell’amore non è l’odio, ma il possesso».
di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire
25 Novembre 2016