Martedì in seconda serata
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Il cast di Locandiera B&B

«Gli affari più puzzano e più sono buoni!», viene detto a un certo punto nella Locandiera B&B di Edoardo Erba, l’ultima opera del drammaturgo pavese che non rinuncia, come nel suo stile, a irridere, a far ridere amaramente e a colorare di un giallo inquietante una vicenda che ruota intorno a dinamiche affaristiche di un mondo marcio dentro. Lo spettacolo che ha debuttato al teatro Ambra Jovinelli di Roma, in scena fino al 5 marzo con una brillante Laura Morante, fa quasi subito dimenticare l’originale goldoniano lontano nel tempo e presente solo nel titolo.
La Locandiera del 1753 di Carlo Goldoni, a cui Erba si è molto «liberamente ispirato», ha poco in comune a parte l’idea di partenza, ovvero una locanda da gestire, in questo caso un bed&breakfast in aperta campagna toscana, e un identico numero di personaggi, sette, tra cui ovviamente Mirandolina, qui abbreviata in Mira, così come bisillabici sono i nomi degli altri sei: Riva sta per il Cavaliere di Ripafratta, Albi per il Conte d’Albafiorita, Poli per il Marchese di Forlipopoli, Brizio per il cameriere Fabrizio e così via. Scelta forse non solo evocativa ma anche emblematica: evidentemente anche l’onomastica risente della logica del business secondo la quale non ci si perde in fronzoli.

La stessa contemporanea protagonista, a parte astuzia, fascino e capacità seduttiva, ha ben altre mire e strategie rispetto all’empatica figura femminile goldoniana motivata da un desiderio di riscatto del gentil sesso. Qui la Mira della Morante, perfettamente a suo agio con la calata toscana che le è familiare e virtuosa mattatrice che rischia di oscurare i pur impeccabili colleghi in scena, si rivela invece cinica e fatale come una mantide e spietata e ambiziosa come una Lady Macbeth: «Fai quel che devi fare» è il perentorio invito rivolto al maschio sedotto affinché perpetri un omicidio. È dunque una black comedy, umoristica e adrenalinica, anche se a tratti la suspense è un po’ tirata per le lunghe e non tutti i nodi caratteriali vengono sciolti. È un po’ Agatha Christie (ci scappa anche il morto nel finale), un po’ Feydeau (si sprecano gli andirivieni dalle porte) e fa pensare anche alla serie tv, Black Mirror, visto l’enorme specchio sul palco che metaforicamente riflette le anime nere dei personaggi, tutti a caccia di un personale tornaconto, dal viscido affarista allo spaccone, dalle sedicenti attrici-accompagnatrici, all’enigmatico killer, all’ambiguo contabile torvo e da sempre invaghito di Mira.
L’incipit della trama è da «metti una sera a cena»: la locandiera si ritrova nella sua antica villa in procinto di diventare albergo a gestire con logorroico imbarazzo quattro sconosciuti invitati dal marito assente. Nel corso della nottata si farà progressivamente luce sulle cupe oscurità morali degli ospiti. All’alba la luce sinistra delle mire di Mira metterà tutti in fuga e avrà la meglio su tutto. Non è un paese per onesti vuole dirci Edoardo Erba, piuttosto, direbbe Eliot, una «terra desolata».

di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire

28 Febbraio 2017