Martedì in seconda serata

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Il ribaltamento è davvero la parola chiave della vicenda di Emanuele Ghidini, della vita di suo padre Gianpietro e dello spettacolo Lasciami volare, visto al teatro Italia di Roma, realtà marginale della capitale per una sera divenuta un topos centrale, un luogo comune per la commozione e l’esperienza catartica vissuta dagli oltre cinquecento spettatori. Scomodare la catarsi per un evento teatrale senza grandi nomi, né clamori può risultare quantomeno inopportuno e azzardato; eppure sappiamo bene come qualità e magia dell’arte dionisiaca non sempre siano assicurate dall ingente investimento produttivo o dalla risonanza di celebrità in cartellone. In questo caso gli ingredienti erano altri: innanzitutto una storia vera, tanto straziante quanto emblematica, quella del sedicenne Emanuele che quella sciagurata notte del 24 novembre 2013 si gettò nelle gelide acque del fiume Chiese a Gavardo, in provincia di Brescia, dopo che uno spacciatore gli fece assumere un allucinogeno.

Una tragedia immane che evoca drammi e ferite comuni e contemporanee quali l’uso diffuso di sostanze stupefacenti fra i giovani, il mal di vivere adolescenziale, i devastanti equivoci sulla pericolosità delle droghe, l’inadeguatezza spesso dei genitori nel gestire situazioni così delicate, i muri di incomunicabilità tra padri e figli. Un buco nero, insomma, che ha inghiottito la vita di quel ragazzo solare, bello, sorridente, solo un po’ sprovveduto e un po’ in crisi come capita a tanti adolescenti, con un padre un po’ distratto dagli affari e dai problemi coniugali. Un papà, appunto, che, invece di farsi travolgere da quello tsunami di dolore, mette in atto un primo ribaltamento mutando l’eterno rimpianto o il «continuo schianto», come scriveva Ungaretti, in un vitale canto. E accade l’inimmaginabile, il miracolo. Dopo le prime ore di agghiacciante mutismo, colme di odio e rancore, abissali sensi di colpa, ineluttabili pensieri di morte, Gianpietro sogna il suo Emanuele che lo illumina e lo sprona: la sua fine doveva essere l’inizio della salvezza di tanti altri giovani.

E da allora Gianpietro Ghidini non si ferma più, da muto per il dolore diventa logorroico per necessità di testimonianza: «Non smetto più di parlare», ci confessa durante l’incontro. Ha l’insopprimibile urgenza di arrivare al cuore di più giovani possibili per aprire le loro menti sui rischi delle droghe, ma anche agli animi dei genitori affinché siano aperti al dialogo coi figli. «Troviamo sempre il tempo di ascoltare, non lasciamo solo chi sbaglia, impariamo a riparare con l’oro per rendere prezioso ciò che si rompe invece di buttarlo via», sono gli inviti accalorati che scaturiscono dalla sua incontenibile forza spirituale che lo ha portato a realizzare finora più di 750 incontri nelle scuole, negli oratori, dovunque sia possibile incontrare ragazzi e adulti, lo ha spinto a creare una fondazione, Ema Pesciolinorosso, che si occupa dello sviluppo di progetti per l’occupazione di giovani e che ha una pagina facebook con oltre 250 mila fan, un libro, Lasciami volare, che ha venduto più di 60 mila copie e ora anche l’omonima pièce teatrale destinata dopo la tappa romana a una tournée nazionale. Ma perché anche uno spettacolo? Cosa aggiunge? «Il teatro può trasformare un fatto di cronaca particolare in storia universale», afferma convinto Gianpietro Ghidini. Metamorfosi raggiunta, nonostante qualche acerbità recitativa e caratterizzazione stereotipata, grazie a una drammaturgia chiara che procede a quadri con la figura del padre narratore onnisciente, un intenso Raffaele Buranelli, che in continui flashback rivive le fasi salienti che precedono il dramma del figlio, un giovanissimo ma credibilissimo Federico Inganni.

La regia lineare e senza pretese autoriali è di Mauro Mandolini che si è avvalso della collaborazione del figlio Riccardo di 17 anni per scrivere un testo in grado di raggiungere in alcuni punti vette di struggente realismo e dar luogo così a un teatro semplice ma sapido di valori e verità.

di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire

14 Marzo 2017