Martedì in seconda serata
Gli attori Cesare Bocci e Tiziana Foschi

È una storia di amore, di quelle che ci piacerebbe ascoltare non solo a Natale. È un inno a una vita fatta di imprese e ribaltamenti che animerebbe il più emblematico dei romanzi picareschi. È una lotta intrisa di coraggio e azione che renderebbe avvincente qualunque pièce teatrale. E infatti un libro lo è diventato con una vendita di diecimila copie in meno di un anno e pure uno spettacolo in tournée sino a fine febbraio. Ma non è nulla di fittizio, non è il frutto di una feconda fantasia artistica e non c’è nessun volo pindarico. È tutto vero, è la storia reale e struggente, nuda e cruda di Cesare Bocci e Daniela Spada che hanno deciso di rendere nota la loro intima e straordinaria vicenda privata prima attraverso un romanzo autobiografico, Pesce d’Aprile, e ora portandolo in scena con lo stesso titolo e con Cesare nei panni di se stesso e Tiziana Foschi, loro grande amica, che dà superbamente voce, corpo e anima a Daniela. Non hanno quindi dovuto inventarsi nulla ma hanno dovuto avere l’ardore e l’ardire di mettere da parte la legittima ritrosia e riservatezza per condividere il loro personale calvario con un unico obiettivo: donare la propria esperienza come stimolo, incoraggiamento, consolazione per chiunque si trovi in una situazione di sofferenza.

È stata la vita dunque a mettere in atto la creazione artistica e in principio ci fu quel “pesce d’aprile” del 2000, che però non fu affatto uno scherzo ma atroce verità, giorno in cui Daniela a una settimana dal parto della figlia Mia venne colpita da un ictus in seguito a un’embolia polmonare. Venticinque giorni di coma e poi il buio. Dimenticata persino la gioia del frutto della gravidanza, solo immobilità fisica e in testa «una specie di centrifuga». Tutto da rifare, relazioni da ricostruire, un corpo da rianimare. Da allora in poi diciotto anni e mezzo di passione intesa come dolore da vincere quotidianamente per riconquistare millimetro dopo millimetro spiragli di libertà e di autonomia ma anche come amore mai incrinato, mai sottomesso dalla malattia. Sia il libro che lo spettacolo offrono un illuminante spaccato poliedrico e articolato sulla vita di una coppia investita all’improvviso da quella che inizialmente si presenta come una vera sciagura. Al lettore e allo spettatore nulla viene risparmiato: le toccanti fragilità, le inevitabili crisi, le inadeguatezze del sistema sanitario, le barriere architettoniche e culturali che penalizzano la vita di un disabile, persino il dubbio che accudire con cura e premura non sia frutto dell’amore ma di un bisogno egoistico. Non manca inoltre una vibrante ironia che pervade sia il testo che la sua trasposizione scenica, lacrime e risa senza soluzione di continuità.

Solo un aspetto è totalmente bandito in questo viaggio lungo quasi un ventennio: il pietismo e l’autocommiserazione. «Daniela non è una che si piange addosso – precisa Cesare Bocci mentre insieme a Tiziana Foschi è in viaggio verso il Teatro Nuovo di Borgomanero in provincia di Novara –, lei è stata prima incosciente e poi testarda. E questo l’ha salvata». “Aspettare” invece è stato il verbo che ha segnato la vita e l’operato dell’attore, ma un’attesa attiva guidata da un’indomita speranza: «Non è venuta meno – sottolinea Bocci – neanche nel momento più buio quando dopo l’ictus ci siamo accorti che Daniela aveva perso la cognizione del passato e non sapeva di essere diventata madre. Ci sono voluti anni e una gran fatica per recuperare il rapporto con la figlia».

Come si fa a reagire e a evitare che la malattia prenda il sopravvento e diventi protagonista della tua vita?
Devi darti una spinta e riemergere, riprendere fiducia in te stesso e nella famiglia e soprattutto non avere paura di chiedere aiuto. Inoltre è fondamentale il sostegno psicologico non solo per il paziente ma anche per il parente coinvolto che non sa come intervenire o che spesso agisce in modo errato. La sanità dovrebbe garantire un’attenzione non solo fisioterapica, ma umana. Si dice che la malattia unisce o divide.

Perché nel caso di Cesare Bocci e Daniela Spada ha funzionato come collante?
Ma come avrei fatto ad andarmene? Mi spiegate come si fa ad andarsene? Per me non si è nemmeno trattato di scelta, è stato tutto naturale, non era contemplabile l’idea di andar via, sarebbe stato come tagliarmi la gamba perché mi fa male il piede. Si pone sempre l’accento su di me che le sono stato accanto ma giustamente Daniela in questi casi ironicamente dice: “Ma, scusate, non avete mai pensato che avrei potuto lasciarlo io?”. Una cosa è certa: noi ci siamo aiutati reciprocamente, c’ è stata una sorta di osmosi e la sua determinazione mi ha aiutato moltissimo.

Nel finale dello spettacolo Cesare pone a Daniela la fatidica domanda: “Se potessi tornare indietro”?
Daniela, interpretata da Tiziana Foschi, a questa domanda risponde come un fiume in piena: tornerebbe a correre, a scrivere, a cucire, ad attaccare un chiodo, portare i tacchi, andare in bicicletta, suonare il sassofono, guidare la moto, dipingere, cantare, portare un bicchiere pieno, prendere in braccio un neonato ma non rinuncerebbe mai a portare con sé nostra figlia e tutto quello che è adesso.

È nota l’arte giapponese del kintsugi che insegna a riparare le fratture degli oggetti con l’oro rendendoli così ancora più pregiati. Voi cosa avete usato per valorizzare le vostre ferite?
Amore, fiducia e azione.

A Natale cosa vi siete regalati?
Il regalo che ci facciamo, e non solo a Natale, è l’amore che ci doniamo.

di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire

3 Gennaio 2019