Martedì in seconda serata
L’attrice Lina Sastri in scena a Roma nello spettacolo “Eduardo mio”

Quando quasi di soppiatto, con circospezione e pudore candidamente entra in scena, tutta di bianco vestita eccetto un braccialetto rosso, il suo colore preferito al quale non rinuncia mai, le prime parole che pronuncia sono: «Ma, siete voi, Maestro? Ho bisogno della vostra assistenza», dimostrando subito rispetto e reverenza per il vate e chiedendo la sua protezione. È questo per Lina Sastri il viatico necessario per poter parlare di lui, di Eduardo, perché l’artista partenopea è pienamente consapevole che su Eduardo De Filippo è stato scritto e detto tutto o quasi. È un mito minuziosamente esplorato, spesso abusato e citato in modo abusivo. È un patrimonio nazionale che ha travalicato i confini non solo partenopei ma anche quelli italici, Filumena Marturano è stata recitata persino in portoghese e giapponese. Le frasi tratte dalle sue opere sono le più evocate e piegate a innumerevoli contesti. Chi, con fare serafico o sardonico, non ha mai esclamato «Ha da passà ‘a nuttata!», oppure «te piace ‘o presepe? », o ancora «gli esami non finiscono mai» (e i cultori di Eduardo ne possono sciorinare tanti altri). Cosa ha spinto allora Lina Sastri, che a fine mese sarà anche sul grande schermo con La ballata dei gusci infranti, un film sul terremoto in Abruzzo, a vincere remore e resistenze e a ideare e interpretare lo «spettacolo in parole, musica e poesia» Eduardo mio sul palco del Teatro Il Parioli di Roma fino al 27 marzo? La risposta è nel monosillabo “mio” del titolo, in quell’aggettivo possessivo che non indica gelosia ma la generosità di chi vuole condividere un “pezzo di cuore”, di chi dona ricordi, esperienze, incontri, discorsi, insegnamenti vissuti con lui, con Eduardo, di chi si fa testimone di un’etica del lavoro teatrale in cui fatica, rigore, regola, costanza, determinazione erano principi inalienabili.

Attraverso un viaggio in cui fluiscono armonicamente racconto, canto e recitato, Lina Sastri sfodera tutto il suo carisma di interprete e cantante, sa essere ammaliante e lacerante, dolce e verace, genuina e raffinata. La sua personalità artistica evoca una napoletanità ancestrale in cui si intravedono i vicoli bui e i cieli tersi, miseria e nobiltà. La sua voce è graffio e carezza. Le canzoni, da Reginella a Core ‘ngrato, da Malafemmena a Era de maggio, da ‘O sole mio a Tammurriata nera, non sono mai intermezzi ma parte integrante della narrazione eduardiana e altresì ogni svelamento, aneddoto e confidenza ha il gusto dell’inedito e illumina sfaccettature recondite ma significative dell’uomo Eduardo e della ferrea e inscalfibile morale dell’artista. «Sul palco si vede tutto, anche il minimo dettaglio non va trascurato»: questa è, ad esempio, una delle lezioni che Lina non ha più scordato da quella volta in cui durante una prova dello spettacolo Il sindaco del rione Sanità si presentò non opportunamente agghindata di gioielli come il personaggio richiedeva anche se si trattava di una comparsa collocata ai margini del palcoscenico. Altro indelebile insegnamento fu quando giovanissima, dopo aver detto a voce alta in camerino di essere stufa del teatro dialettale e di ambire a recitare con Strehler, Eduardo, che evidentemente aveva sentito il suo sfogo, organizzò una prova e quando lei entrò in scena la bloccò ed esclamò: «Volete andare da Strehler? Imparatevi a camminare!».

«Il controllo delle emozioni»: è uno dei cardini dell’arte interpretativa di Eduardo che la Sastri sintetizza nell’episodio della registrazione televisiva di Natale in casa Cupiello in cui lei impersonava Ninuccia, la figlia di Luca Cupiello. Nella scena finale al capezzale del padre ormai paralizzato e semi-incosciente a lei, che stava inginocchiata sul letto di fianco a lui, viene un colpo di tosse ed Eduardo, pensando fosse un singulto di pianto, le sussurra a mezza bocca in dialetto: «Non è niente, non è vero». Ovviamente per evitare autocelebrazioni la Sastri nello spettacolo non fa menzione dei complimenti che Eduardo però le faceva e di cui noi siamo a conoscenza. Uno su tutti: «Tu dovevi nascere in un altro secolo quando davanti alle donne si fermavano i cavalli e dentro alle rose si trovavano le perle».

Si rivelano inoltre aspetti del grande attore e drammaturgo napoletano più spiazzanti: dall’Eduardo seduttore, elegante, erotico, che conosceva a fondo le donne, piaceva e ne era consapevole, all’Eduardo regista e capocomico che selezionava gli attori in base a un criterio fisico, corporeo. Al termine di questo percorso rapsodico si ha la sensazione di aver avuto il privilegio di partecipare a una condivisione intima divertente e commovente che non nasconde la complessità di un genio impossibile da comprendere a fondo. Ma nell’incontrare Lina Sastri dopo lo spettacolo sfidiamo il mistero e le poniamo una domanda tanto tautologica quanto sfacciata: «Perché Eduardo è Eduardo?». La sua risposta è tanto semplice quanto articolata: «Perché è stato rivoluzionario, ha rappresentato l’uomo con i suoi conflitti sia nella famiglia che nella società. Perché è stato un maestro che ha insegnato la fatica, era sempre il primo a venire a teatro e l’ultimo ad andarsene, la tenacia, che ti serve perché non è vero che al primo tentativo ti va bene, il rispetto e l’armonia e non è un caso che il gruppo di lavoro in teatro si chiama “compagnia” che è il contrario della solitudine e dell’avversione, un concetto che bisognerebbe recuperare. Perché Eduardo è Eduardo». RIPRODUZIONE RISERVATA

di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire

31 Marzo 2022