
Federica Luna Vincenti: «La mia Sissi è profetica»
«Chi è debole ha il cuore grande». Dopo aver pronunciato queste ossimoriche parole il dottore le slaccia lentamente il busto e lei spira, trasformandosi finalmente in un agognato flebile respiro. Voleva infatti diventare aria, invisibile agli sguardi di odio, impalpabile a qualunque contatto lascivo, voleva perdere ogni materialità e carnalità mortificando il proprio corpo, fustigando ogni impulso voluttuoso sensuale e alimentare ed entrando nella spirale dell’anoressia, una risposta patologica ma lucida al disgustoso accumulo, al vorace consumo, alla tracotanza di orpelli e ricchezze che la asfissiavano. Anche la ricerca di un’icona di bellezza con le drastiche diete, gli interminabili esercizi ginnici, il lavaggio della sua folta e lunghissima chioma con una mistura di cognac e più di trenta uova, le estenuanti ore di pettinatura, la sfiancante allacciatura del corsetto, l’ambizione per il mitico vitino da vespa non erano desiderio di vuota apparenza, bensì uno sforzo sovrumano per raggiungere una purezza, frutto di un’alienazione certamente ma anche di un anelito di trascendenza. Questa era Elisabetta imperatrice d’Austria, questa è la Sissi (il nomignolo con cui era nota) vista in prova, interpretata da un’ispiratissima Federica Luna Vincenti, che debutterà il 22 febbraio al Teatro degli Illuminati a Città di Castello, sarà al Franco Parenti di Milano dal 4 al 16 marzo e poi in tournée fino ad aprile.
Quindi Sissi l’imperatrice, coprodotto da Goldenart con lo Stabile di Bolzano e del Friuli Venezia Giulia, scritto e diretto da Roberto Cavosi, che ha scandagliato nei diari e nel testamento della regina indomita, indipendente, anticonformista e irriverente, non sfoggerà vestiti sfarzosi e luminosi, solo abiti in un luttuoso bianco e nero e non ci saranno carrozze dorate, gioielli, fasti e balli a corte, piuttosto una scena claustrofobica, una sorta di palestra in cui far sudare corpo e animo, un trono ridicolizzato e trasformato in seggiolone-scranno da arbitro di tennis, gabbie colme di scarpe, oggetti, ricordi e fogli di appunti e note poetiche. In un’ora e mezza circa si dipanano sei quadri che sondano alcuni aspetti del carattere e del pensiero dell’imperatrice asburgica dalla filosofia al sesso, dalla politica all’arte. Sono dialoghi spesso serrati con la pettinatrice, la limatrice, un’attrice, il dottore a cui fanno da contrappunto proiezioni video che sono anche proiezioni di un inconscio tormentato, dalla cupa marea di ombrelli alle scie luminose dei traccianti, ai volti impauriti di soldati spezzati dalla guerra.
Lo sviluppo drammaturgico si avvale poi di marce che si dilatano e deformano e celebri brani riarrangiati e cantati oniricamente come echi di un animo ferito. È un viaggio nudo e crudo nella sofferenza interiore di una donna “pasionaria” e visionaria che ha esercitato un’attrazione immediata e viscerale in Federica Luna Vincenti: «È stata una donna che ha lasciato un messaggio molto forte al nostro mondo contemporaneo – ci svela l’attrice e produttrice – in quanto first lady ha usato il potere come mezzo per arrivare a tutt’altro, lei si opponeva allo sfarzo, alla finzione della corte. Avvertiva il peso di una corona in testa che era per lei una corona di spine». Nello spettacolo vengono riportate due affermazioni molto forti e scandalose di Sissi contro la corte asburgica da lei definita «una schiatta depravata» e contro la strumentalizzazione del concetto di patria, «un trogolo dove tutti ci mettono il muso per non ascoltare la propria coscienza»: «Amo molto anche un’altra frase di Sissi quando dice che “non possiamo venire al mondo per marcare il territorio come animali per appropriarci di cose che non ci servono a nulla perché possedere, conquistare, opprimere sono solo miserie”. I confini che tracciano i potenti della terra sono solo un’ostentazione di prepotenza non di potenza. Lei rifiuta il concetto di patria tout court, lei crede solo nella patria degli oppressi ed è un pensiero altissimo, quasi mistico». A proposito dei suoi lutti Sissi afferma: «Quando le persone care non ci sono più il cielo diventa un insieme di niente». Come si supera una perdita che provoca la perdita di senso? «Io come Sissi ho perso una figlia e quel dolore mi aveva annichilito, tutto si era opacizzato, era diventato tutto grigio per me, ma al contempo tutto ha acquisito un senso più vero, più sincero, non hai più filtri e perdi ogni maschera, alla fine non si ha più paura di niente o perlomeno comprendi la futilità di quegli affanni che prima ti assillavano. E secondo me è meglio che un’esperienza del genere accada presto nella vita perché in questo modo si può vivere prima il senso autentico dell’esistenza». La vostra è una Sissi non olografica ma dirompente che aborriva strategie ancora oggi attuali quali la conquista dei territori, l’oppressione dei popoli, l’erigere muri. È stata una donna fuori dal tempo? «Direi profetica. Basti pensare che ha voluto devolvere ai rifugiati politici e alle loro famiglie i proventi dei suoi diari e delle sue poesie affidando ad una ipotetica “anima del futuro” tale compito, ma non prima di sessant’anni dal 1890. Non sopportava l’idea che i sudditi dei paesi oppressi dall’impero asburgico la guardassero da dietro le finestre chiuse con terrore. Era consapevole che le conquiste del suo impero privavano gli altri popoli della dignità e questo potere era per lei un abominio». Cosa vorrebbe restasse nel pubblico dopo la visione di Sissi l’imperatrice? « Mi piacerebbe che si rendesse conto che bisogna avere degli obiettivi nella vita, non per se stessi ma per gli altri, per la comunità e che si pensasse che ciò che tutto ciò che abbiamo non ci appartiene». RIPRODUZIONE RISERVATA
di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire
6 Marzo 2025