Storia di un muro a Matera. Il teatro e la sfida della realtà
Matera – Se vi dicessero che nella piazza centrale della vostra città hanno alzato un muro divisorio di primo acchito certamente restereste sgomenti e reagireste indignati. La memoria andrebbe a quel 13 agosto 1961 in cui Berlino si risvegliò divisa fra est e ovest. Ma se poi vi argomentassero la scelta della costruzione di quella barriera come una necessità pratica, vantaggiosa e salvifica legata a questioni di sicurezza, difesa della propria libertà e identità, che assicurerebbe prosperità e progresso, un futuro privo di tensioni sociali (ci saranno pure motivi ragionevoli per cui dal 1950 i muri nel mondo da tre si sono moltiplicati per diventare 77 nel 2019) allora probabilmente l’indignazione iniziale potrebbe vacillare, quella che sembrava iniziativa assurda potrebbe ribaltarsi in soluzione utile e plausibile.
Questa paradossale provocazione di ipotizzare e proporre un monumento separatorio nel bel mezzo di un’agorà cittadina l’ha concepita e realizzata in forma di esperimento teatrale e sociale, in bilico fra la dimensione ludica e quella drammatica, una tenace, giovane e geniale compagnia, lo IAC, Centro Arti Integrate, che da un decennio lavora a Matera, nei quartieri più isolati, per creare un legame fra le persone, in particolare disagiate, anziani, minori migranti, a rischio, con lo scopo di includerli e dare loro visibilità con gli strumenti della comunicazione teatrale. Nella città lucana i fondatori dello IAC, Nadia Cassamassima e Andrea Santantonio, decidono coraggiosamente di andare controcorrente e lanciano il progetto “Matera Città Aperta” che in realtà necessiterebbe di un punto interrogativo perché è tutt’altro che un’asserzione, piuttosto un monito, un’ipotesi di un preoccupante futuro distopico per nulla fantasioso e campato in aria: «Nell’anno di Matera Capitale europea della cultura – affermano Nadia e Andrea – non volevamo far vedere quanto fossimo belli, ma fare emergere le contraddizioni di questo momento storico». Con caparbietà superano i mille cavilli burocratici e riescono a inscenare nella centralissima piazza Vittorio Veneto, crocevia tra il Sasso Barisano e quello Caveoso, una sorta di happening che comporta la partecipazione attiva di cittadini materani e non: L’Esperimento, per l’appunto, voluto da una fantomatica “Alleanza delle Istituzioni”, sviluppato nell’arco di 7 giorni e conclusosi domenica con la costruzione di un muro che ha parzialmente diviso a metà lo spazio da tempo immemore destinato allo “struscio” cittadino: una struttura metallica provvisoria e al termine della settimana smantellata.
Ma estremamente interessante e al contempo inquietante è stato verificare come una tesi, seppur in partenza folle e bislacca, se pilotata da efficaci disquisizioni, se corredata da opportuni e strategici coinvolgimenti ludici, possa alla fine rischiare se non di imporsi comunque di incidere sulla coscienza collettiva, innescare istintive paure ed essere perlomeno passivamente tollerata da una parte della comunità. L’operazione è stata articolata e complessa: il format a episodi ogni giorno prevedeva uno step diverso con interviste di “vox populi”, giochi di società competitivi, narrazioni di migrazioni, storie di diatribe familiari legate all’eredità, tutto comunque sottilmente finalizzato a stabilire confini, separazioni, esclusioni. Altro elemento fortemente conflittuale la contrapposizione fra i sostenitori dell’Esperimento e della sua creazione muraria e i contestatori che fiutano odore di manipolazione mentale e vengono pertanto stigmatizzati come “complottisti” e sobillatori di un ordine che tradisce la sua vocazione dittatoriale. Si attinge infine nello sviluppo drammaturgico a mani basse al capostipite degli scenari assolutistici, a quel 1984 di Orwell che emblematicamente nel secondo dopoguerra figurò il pensiero unico e totalitario del Grande Fratello. All’interno di una cavalcata interpretativa ben ritmata e di una impostazione registica accurata emergono alcune aporie quando si cede alla tentazione di venare di tratti macchiettistici i fautori del muro depotenziandone la portata realistica o quando le azioni performative dei “contestatori” tradiscono una “recita a soggetto” o si colorano di accademiche espressività coreografiche. Ma sono limiti quasi trascurabili di fronte all’obiettivo di smuovere le coscienze che viene pienamente centrato.
Testimonianza concreta e spiazzante l’epilogo dell’ultima giornata con la gente che non abbandona la piazza, sfonda il muro e improvvisa, davanti agli occhi felicemente increduli degli organizzatori, una gioiosa e liberatoria danza di strada. L’utopia prevale sulla distopia e Matera Città Aperta può avere finalmente un tono assertivo e non interrogativo.
di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire
8 Ottobre 2019