I mimi Familie Flöz, in principio fu il movimento
Non ci sono parole. Sia in senso figurato che letterale. Sia perché si resta sospesi in un denso silenzio, sia perché sono novanta minuti di un teatro muto che paradossalmente si rivela estremamente eloquente. È il fenomeno internazionale della compagnia berlinese dei Familie Flöz che vanta con i suoi spettacoli silenziosi migliaia di repliche in 34 paesi e fatto incetta di premi negli ultimi 25 anni. E tutto grazie alla capacità di parlare, si fa per dire, al cuore di tutti sfruttando ed esaltando il linguaggio universale dei gesti e di quella che è stata sin dal 1994 la cifra distintiva della loro espressività artistica, la maschera. «Per noi – dichiara subito il direttore di produzione, Gianni Bettucci – la maschera è come fosse il nostro testo».
Sono maschera e corpo quindi a dominare la scena e a dettare i tempi, le reazioni e ogni sfaccettatura della comunicazione non verbale. In pratica il dogma ribaltato dei Familie Flöz è che in principio ci fu il movimento, non il verbo, perché è nel corpo che ha origine e diventa palese, prima ancora che nella parola, ogni dialettica e conflittualità relazionale. E il fatto che i tre funamboli berlinesi non possano nemmeno avvalersi della mimica facciale e delle espressioni dei loro visi non è affatto un problema né tantomeno un limite: «La nostra maschera è oggettivamente uno strumento fisso, immobile, ma forse fino a un certo punto perché se ci fate caso dopo cinque minuti che è iniziato lo spettacolo inizia a sorridere leggermente, poi a mostrare tristezza. Ci sono spettatori che addirittura giurano di averle viste piangere!». Questo il pensiero, comunicato tra il serio e il faceto, dei tre attori-mimi che fanno vivere sulla scena le visioni mute dei Familie Flöz, Andres Angulo, Johannes Stubenvoll e Thomas van Ouwerkerk e che comunque sono convinti che puntualmente sul palco accada una meravigliosa metamorfosi anche grazie alle caratteristiche morfologiche delle loro maschere dall’inconfondibile profilo pronunciato.
«Il fatto che abbiano un naso così grande – precisa ancora Bettucci – non è casuale, è una scelta tecnica voluta perché aiuta a creare un gioco di luci e ombre. Inoltre un naso pronunciato crea più connessione con il pubblico, è qualcosa di penetrante che cerca un contatto. Strano ma vero». Insomma la fissità viene ampiamente superata da un seppur finto ma duttilissimo e proteiforme volto capace di comunicare un caleidoscopio di espressioni ed emozioni. In realtà al di là dei segreti e accorgimenti tecnici si tratta ovviamente di un inganno, quello che chi vuole abbandonarsi alla magia onirica del teatro innesca più o meno involontariamente. Ci si auto-illude, insomma.
L’illusione e il suo contrario, la delusione, sono inoltre le peculiarità narrative dell’opera che la compagine tedesca porta in tournée a Livorno, Napoli e Modena fino a maggio 2020. Questo spettacolo, che ha debuttato in realtà nel 2004 all’Arena di Berlino e che annovera 640 repliche, ha per titolo un evocativo neologismo: Teatro Delusio. Fascino, ironia, poesia, malinconia, sogno e ilarità c’è davvero di tutto grazie ai tre attori-mimi che con un tempismo e un trasformismo alla “fregoli” danno vita a ben 29 personaggi. L’obiettivo è creare visioni e situazioni sul mondo del teatro e soprattutto, scelta sempre efficace, sul dietro le quinte che diventa così protagonista assoluto. Un omaggio dunque al backstage, sullo stile della mitica commedia Rumori fuori scena di Michael Frayn che potremmo ribattezzare in questo caso: furori fuori scena!
di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire
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17 Dicembre 2019