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Gaia Spera racconta una donna che incarna la Misericordia in ogni sua parte: Chiara Castellani.
Chiara Castellani è un medico. Un chirurgo ginecologa. È nata a Parma nel 1956. Sognava di mettere la sua professione a servizio della vita. Ha messo la sua vita al servizio della professione. Per 7 anni medico di guerra in Nicaragua. Da oltre 25 anni nella Repubblica Democratica del Congo, paese dell’Africa centrale segnato da conflitti e privazioni. Con l’AIFO ripristina un piccolo ospedale abbandonato dai belgi a Kimbau dove cura – inizialmente senza né acqua né luce – centinaia di malati. Per molto tempo è l’unica ginecologa su un territorio cha accoglie 150.000 persone. Nel 1992 perde un braccio. Il braccio destro. Stava scappando da un agguato mentre andava ad aiutare una donna a partorire. Il fuoristrada tra i sentieri dissestati dell’entroterra si ribalta schiacciandole l’arto.
Nonostante l’amputazione Chiara sceglie di restare in Congo. Oggi, oltre ad insegnare in una delle scuole per infermieri che ha contribuito ad avviare, Chiara è ideatrice, referente, supervisore di molti progetti: dalla prevenzione delle malattie infettive, prima fra tutte l’AIDS, ai 27 centri salute per il primo soccorso e l’assistenza al parto, dalle iniziative legate ad orti e colture per contrastare la malnutrizione, alla lotta alla malaria. L’ultimo progetto cui ha scelto di dedicarsi è nel carcere di Kenge, in Congo. I detenuti di un carcere sono solo i più poveri fra i poveri: spesso hanno rubato per mangiare oppure sono colpevoli di essersi difesi da aggressioni o stupri. Una volta in carcere la pena è tragicamente, beffardamente, uguale per tutti. Indipendentemente dal reato si muore di fame.
Lo stato non passa né cibo né acqua. Devono provvedere le famiglie. Chi non ha famiglia in grado di provvedere non riceve nulla. Le morti per fame segnano lo scorrere del tempo nel carcere di Kenge. Quando Chiara è entrata lì per la prima volta ha trovato adulti e ragazzi, uomini, donne, persino bambini, nati in carcere e mai usciti di lì. Grazie al supporto di una volontaria, Alba Monti, e di un gruppo locale – “le amiche della prigione” – Chiara è riuscita fin dall’inizio a far arrivare la domenica un pasto settimanale. Ma un pasto a settimana non basta a sopravvivere. Con la tenacia che le è propria è riuscita a realizzare un piccolo ambulatorio in prigione. E la necessità di dover somministrare dei farmaci ha fatto salire prima a due e poi a quattro i pasti settimanali. I bambini più piccoli sono stati fatti uscire dal carcere e affidati a famiglie dove sono nutriti regolarmente. «Nella mia fede traballante – ha scritto Chiara – sono comunque convinta che se Dio esiste è della povera gente, di chi porta la sua croce e spesso ci muore sopra, e mai di chi la croce se la mette al collo, senza sentire come pesa”. Grazie a Chiara Castellani nel carcere di Kenge la condanna a morte per fame può essere cancellata, ma per vincere la sfida abbiamo bisogno del tuo aiuto, della tua misericordia.

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22 Giugno 2016