domenica ore 21.05

Sarebbe potuto diventare un notaio, essendo la sua famiglia di stirpe notarile, eppure c’era qualcosa di più forte che lo attirava e lo chiamava a sé, il Vangelo. Inizia così il percorso di don Nicolini, dagli studi di filosofia alla Cattolica di Roma a quelli in teologia alla Gregoriana, proprio durante gli anni del Concilio Vaticano II e soprattutto nel periodo del ’68. Fonderà in seguito le Famiglie della Visitazione, comunità monastica legata alla Piccola Famiglia dell’Annunziata di Giuseppe Dossetti, quello stesso Dossetti che gli ha insegnato il rapporto tra la Parola e la storia, tra la Parola e i poveri, tra la Parola e la politica, tra la Parola e la Costituzione italiana. A Bologna, dove ha guidato la parrocchia di Sant’Antonio da Padova alla Dozza e S.Giovanni Battista a Calamosco, è conosciuto come “il prete dei poveri”: i più poveri sono i detenuti del carcere bolognese della Dozza dove è stato cappellano per anni, e dove ha saputo instaurare un dialogo impensabile con uomini dimidiati, distrutti dall’abbrutimento e dalla colpa, ma capace di rinascere in un rapporto. Importantissimo l’impegno a incontrare e cercare occasioni di dialogo soprattutto con i detenuti di fede islamica, coinvolti con l’accompagnamento anche spirituale che i monaci dossettiani si sono presi come vocazione. e in tempi più recenti è diventato assistente delle Acli Nazionali. Per sua stessa affermazione si sente più monaco che prete, perché il monaco segue i tempi della preghiera… L’incontro con la Parola avviene in un campo estivo degli scout, quando al ragazzo Giovanni viene chiesto di commentare il Vangelo dei pani e dei pesci: “quella sera mi sono sentito preso per mano. Dal 63 poi ho studiato a Roma, c’erano ancora molte bidonville all’epoca, e questo mondo dei poveri per me è stato determinante, sia i poveri stessi che chi pensava a loro”. Un’altra tappa importante è stato il periodo del ’68, quando don Giovanni stava completando gli studi a Roma, dove era nell’aria un fervore, la nascita di qualcosa di nuovo, con un’impronta positiva che ha poi determinato profonde lacerazioni. Un periodo che la Chiesa aveva di fatto anticipato: “senza Papa Giovanni non ci sarebbe stato nulla di tutto questo, e ora assistiamo al suo referente più diretto, Papa Francesco. Si capisce che c’è in lui un’inventiva dello spirito che non si può fermare, perché vissuto con una straordinaria naturalezza”. Ma perché molti sacerdoti e tanti giovani hanno invece abbandonato la Chiesa durante il periodo del ‘68? “Non so fino a che punto sia stata una responsabilità della Chiesa, o se come molte volte Dio fa nella storia, impone al suo popolo dei passaggi che all’inizio hanno come qualità quello di non essere accettabili o comprensibili: perché la profezia è più grande della dottrina ed è anche violenta nei confronti della storia”. Don Nicolini si sofferma poi sul valore del lavoro per i cristiani, essendo oggi assistente spirituale delle Acli: “il lavoro è fondante, oggi non è solo una emergenza politica o sociale, è dentro alla struttura fondamentale della fede. Quel gruppetto di padri costituenti cristiani si sono inventati i primi 12 articoli della Costituzione, e al primo hanno messo il lavoro come base fondamentale della Repubblica: in quei 12 articoli non c’è un termine sacrale. Il lavoro è fondamento assoluto infatti della fede, della fede ebraica prima che cristiana perché Dio è un lavoratore. La missione dell’uomo è dunque il lavoro”. Tocca impegnarsi perché sia per tutti, missione centrale della politica. Anche se “per un cristiano il primo riferimento politico non può non essere sua moglie, i suoi figli e il lavoro che sta facendo. La politica diventa in qualche modo una dilatazione e comunicazione di quello che è fondamentale: la relazione, la collaborazione.”

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12 Marzo 2018