Lunedì-sabato: 8.30, 12, 14.55, 18.30 e 20.30. Domenica: 18.30 e 20.30

Quando i Maneskin non erano ancora nati, a portare il rock italiano fin negli Stati Uniti erano loro, la Premiata Forneria Marconi. E lo fanno ancora oggi: 50 anni di tour mondiali e nuovi album. L’ultimo è uscito in doppia versione, italiana e inglese, e si chiama: “Ho sognato pecore elettriche”. Un titolo che omaggia il film Blade Runner. “Io e Patrick siamo fanatici di fantascienza – racconta Franz Di Cioccio, fondatore della Pfm – non ci siamo persi un film e quello in assoluto è uno dei più belli. In questo momento noi stiamo vivendo in due mondi paralleli: uno è la terra, l’altro è fatto di un mare di giga, arcipelaghi di algoritmi. Quest’ultimo ti dà sempre più ansia ed è sempre più veloce. Voglio specificare che che non siamo assolutamente contro le tecnologie”. “Quando ci chiedono quale sia il segreto della Pfm – dichiara Patrick Djivas, bassista della band – come riesca dopo 50 anni ad avere ancora questa energia malgrado il tempo che passa, malgrado i seimila concerti, rispondo semplicemente che il segreto sta nel fatto che noi ricominciamo sempre, non proseguiamo mai un percorso”. “Per indole – prosegue Di Cioccio – noi abbiamo giurato sin dall’inizio di non fare mai un disco uguale al precedente. Per una semplice ragione, perché la musica è varia e bella tutta”. Siete delle star indiscusse a livello mondiale nel vostro genere, un rock specifico, in una direzione progressiva. Avete mai pensato che fosse un peccato eccellere in un settore non così popolare come quello ad esempio del rock più convenzionale o del pop? Che avreste potuto avere un successo persino più rilevante di quello (grandissimo) che avete avuto? “Il successo – risponde Di Cioccio – non è l’obiettivo finale, ma il participio passato del verbo succedere. Senza fantasia non riesci a fare l’artista. Puoi replicare te stesso all’infinito ma non è questo il percorso che vogliamo fare”. “Eravamo in America nel 1975 – conclude Djivas – e la casa discografica eccitatissima, progettava grandi cose mentre noi abbiamo fatto poi un disco di jazz. E quindi ci siamo tagliati le gambe, non siamo diventati quello che dicevano loro, però è successa una “piccola” cosa: che noi dopo 50 anni siamo ancora qua”. Intervista di Silvio Vitelli

Questo contenuto non è disponibile per via delle tue sui cookie

15 Novembre 2021

  •