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Con lo spegnimento del reattore 3, avvenuto il 15 dicembre del Duemila la centrale nucleare di Chernobyl chiude i battenti. Noto per il drammatico incidente avvenuto il 26 aprile 1986. L’impianto è situato nell’Ucraina settentrionale, nei pressi della città di Prypjat. 30 anni fa la notizia del disastro di Chernobyl fa il giro del mondo. Sulla stampa italiana non mancano dibattiti e commenti. Tra questi un fondo di Primo Levi.
L’esplosione della centrale di Chernobyl in Ucraina scoppia più dirompente che mai anche sulla stampa italiana dopo quel 26 aprile 1986. L’Unità parla di “catastrofe mai vista” dalle “conseguenze incalcolabili” mentre Giuseppe Zamberletti, allora ministro della protezione civile assicura “che per l’Italia non c’è rischio”. Tuttavia la nube tossica – titolano i giornali – è attesa sulle alpi italiane. Il 3 maggio un’ordinanza del ministro della sanità vieta in tutta la penisola per 15 giorni la vendita di ortaggi a foglia larga e la somministrazione di latte a bambini sotto i 10 mesi e alle gestanti.
Sul quotidiano La Stampa di Torino Primo Levi in un fondo dal titolo “La peste non ha frontiere” si chiede se il mondo imparerà mai dalle proprie sciagure. “Purtroppo – commenta l’autore di Se questo è un uomo – la tecnologia e la biologia nucleare sono intrinsecamente ardue: ai profani è difficile fare il bilancio rischi-benefici. Ora profani siamo tutti: i pochi non profani sono parte in causa”.
Nell’agosto dell’86 poi a Vienna si riunisce Agenzia internazionale per l’energia atomica che, discutendo il dramma del dopo Chernobyl, stima che nei successivi 70 anni a causa delle radiazioni le vittime potrebbe essere circa 50mila.

Vincenzo Grienti

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15 Dicembre 2017