Roma, 14 novembre 2017. “Il privilegio che ti dà la capacità di salire in alto ti dà un ampio respiro, ti fa sentire una persona umile che con la volontà può guardare anche oltre. E nel salire in alto molto spesso hai il privilegio di vedere un orizzonte che si nega a chi vuol rimanere in basso, anche se il salire in alto può diventare mortale se non ti metti intesta che il traguardo è quello di ritornare in basso”. Lo sottolinea l’alpinista Simone Moro ospite, insieme a Tamara Lunger, della quarta puntata del programma ‘Padre nostro’, condotto da don Marco Pozza, in onda su Tv2000 mercoledì 15 novembre alle ore 21.05. Protagonista della trasmissione Papa Francesco che dialoga con il giovane cappellano del carcere di Padova, nell’introduzione di ogni puntata. Il programma, nato dalla collaborazione tra la Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e Tv2000, è strutturato in nove puntate, ogni mercoledì, nel corso delle quali don Marco incontra anche noti personaggi laici del mondo della cultura e dello spettacolo.

 

“Io non voglio essere Rambo o essere considerato un extraterrestre – spiega Moro – sono solo uno che ci ha creduto. La storia dell’uomo, la storia del mondo la cambiano gli uomini normali che hanno creduto un po’ più degli altri. La scalata del Nanga Parbat non ha cambiato la storia del mondo, lo ha cambiato la scoperta della penicillina, la cambierà la scoperta e la cura di ogni forma di tumore, ma l’approccio che hanno questi esploratori nel campo medico, nel campo fisico, nel campo chimico è lo stesso approccio che abbiamo noi”.

Nelle spedizioni insieme a Simone Moro “quasi sempre alla fine si segue la mia volontà”, scherza Tamara Lunger parlando della conquista della cima del Nanga Parbat, anche se a 70 metri dalla vetta decise di tornare indietro: “Adesso sono molto più contenta di come sono andate le cose, perché questa mia scelta di scendere invece di provare la cima mi ha dato molto di più. Mi ha fatto capire come funziona il mio corpo in queste situazioni veramente al limite”. Prima di partire, racconta la Lunger, “ero molto preoccupata perché con lui da sola fare due mesi di spedizione è difficile: il momento è molto intenso, sei sempre insieme 24 ore su 24 e devi essere affiatato”.

“L’idea, che forse era nata 4 anni prima, in quel Natale del ’97 quando morì Anatoli e io sopravvissi anche grazie a un soccorso di un elicottero – ricorda Simone Moro – di creare un’unità di soccorso, è stata la molla che mi ha fatto decidere a 42 anni di diventare pilota, di andare in Nepal, provare un elicottero di lì facendomi affiancare da piloti molto più bravi di me. Io quando parto per una spedizione so che potrei non tornare, ma faccio veramente di tutto per mettere come ingrediente il fatto che devo continuare ad essere un uomo che prova della paura, che è stimolato, se la fa sotto, perché la paura è il contachilometri dell’autoconservazione”.

 

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14 Novembre 2017