A Soul: il magistrato Paola Ortolan e il domenicano Adrien Candiard
Sabato 8 ore 20.45 a Soul Paola Ortolan, magistrato, esperta di diritto di famiglia. Un magistrato che ha scelto, da ragazza, la piazza difficile di Caltanissetta, appena dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, nella schiera dei tanti giudici “ragazzini” che fecero svoltare la lotta alla mafia. Una donna che nonostante un lavoro complesso non ha rinunciato alla famiglia, e che ai problemi della famiglia ha scelto di dedicare il suo lavoro, appena le è stato possibile. Nel suo ufficio storie di violenza domestica, di separazioni dolorose, di bambini sofferenti e soli, di affidamenti incompiuti, di qualche ricongiungimento felice, di qualche adozione meravigliosa; storie di compagnia alle persone, oltreché di inflessibile giudice che sta davanti al ”caso”; e poi il tomento di sbagliare, nel disegnare il destino di una ragazza, di un bambino; le difficoltà nel rapporto con culture lontanissime, che non ammettono diritti per le donne, per i minori ( i troppi casi come Hina, ricorderete, di seconde generazioni di stranieri). E ancora i tanti interrogativi nell’affrontare temi su cui la propria fede, la propria certezza morale, hanno risposte diverse da quelle delle leggi di stato, che comunque vanno applicate; il disagio di una professione esaltante, necessaria, di servizio, che spesso viene pregiudizialmente criticata; o usata a scopo di immagine o di carriera politica in alcune correnti della magistratura. Il racconto della Ortolan è un invito senza sconti e romanticherie ai giovani: perché è un gran bel mestiere, una vocazione avere La toga addosso, (edizioni Paoline) quella tagliata nella stoffa dal padre, diventata un habitus, una posizione morale, da testimone.
Domenica 9 ore 20.30 protagonista Adrien Candiard (Parigi 1982): dopo essersi dedicato alla politica, nel 2006 è entrato nell’Ordine domenicano. Oggi risiede a Il Cairo dove è membro dell’Institut dominicain d’études orientales (Ideo). Si occupa di islam e ha scritto anche diversi saggi di spiritualità. Nel 2017 ha ottenuto il Prix des libraires religieux per il volume Quando eri sotto il fico… Discorsi intempestivi sulla vita cristiana (Queriniana).
Giovane, brillante, coltissimo. Un abito bianco da domenicano, per uno dei più autorevoli studiosi dell’Islam, dell’Istituto di Studi orientali de Il Cairo: la città che l’ha accolto, dopo Parigi, dove ha lasciato una carriera avviatissima in politica, nello staff di Dominique Strauss-Kahn, quando si candidava alla carica di Primo Ministro. Ma anche quando faceva politica si sapeva, che era un tipo particolare, impegnato con la fede, sempre pronto a parlare di Dio, la cosa che davvero l’interessava. Adesso il suo abito lo aiuta, gli apre l’attenzione e il cuore di tanti, che lo sentono vicino, lo cercano, in mezzo ai musulmani o ai laicissimi concittadini francesi. E’ illuminante e amabile un libro che uscirà a breve, per la sua casa editrice italiana, la Emi, un commento sulla lettera più breve di Paolo, quella a Filemone, ma così rilevante per il tema della libertà. L’apostolo rimanda all’amico Filemone il suo schiavo: non più come servo, ma come fratello, fattosi cristiano. In poche righe, salta i problemi teologici, sociali, e arriva alla fraternità, alla concretezza dell’amore, che supera tutte le regole. Da leggere, oggi che siamo tanto attivi a liberarci dalle ingiunzioni morali, religiose, rimpiazzandole con comandamenti anche più imperiosi, igienisti, ambientalisti e sovente di altre morali. Il tema della libertà ha ben a che fare con il saggio breve che è appena edito in Italia. Comprendere l’Islam. Perché non ci capiamo niente. Titolo non solo provocatorio, realista. Perché viviamo con i musulmani, e se anche la comprensione non ci interessasse, se il dialogo non fosse tra le nostre priorità, non potremmo farne a meno. Il problema – e i problemi sono tali perché non di facile soluzione – è che non c’è un solo Islam, questo già lo sappiamo. Man non ce ne sono neppure due, o tre. Lo stesso libro sacro dell’Islam, il Corano, ha diverse interpretazioni, e ci risulta ambiguo. Gli hadith, la seconda fonte dell’Islam, sono un oceano di testi, di aneddoti, riportati dal profeta. Sono decine di migliaia di frasi riportate nel tempo, e alcune importantissime: per esempio il Corano dice che bisogna pregare, non dice come, e quante volte. La sharia, che tanto ci preoccupa, significa legge divina… ma non c’è un testo che la contenga, la riporti. E’ una legge intima, di elevazione dell’animo, o significa mani amputate ai ladri e lapidazioni per le adultere? E il fondamentalismo, non è una corrente, come sbrigativamente abbiamo finito col credere. I fanatici ci sono, e quasi tutti provengono dalla matrice del salafismo. Un movimento relativamente recente, nella storia dell’Islam, e dunque il rovesciamento di una posizione culturale per noi abituale: il passato ci risulta duro, opprimente, oscuro, integralista, il presente sempre più aperto, inclusivo e progressista. Nell’Islam non è così: il periodo imperiale, il più antico, è stato capace di confronto e convivenza coi popoli e religioni, non le presunte rivoluzioni culturali che si rifanno a una purezza atavica del messaggio, e che considerano infedeli o tiepidi i meno radicali. Il terrorismo però è un problema, afferma senza irenismi facili Candiard: e non è solo l’effetto della miseria sociale, della colonizzazione dell’Occidente. Possiamo fare due errori: pensare che la religione non spieghino nulla, e pensare che spieghino tutto. I problemi sono sociali, culturali, religiosi, insieme, e tocca tenere presente tutto. Tuttavia siamo sul limitare drammatico di una possibile guerra, tra pulsioni interne al sunnismo e gli sciiti. Le une e le altre sono rappresentate da due grandi potenze, l’Iran e l’Arabia Saudita, implicate economicamente con altre grandi potenze mondiali. La religione viene usata per rivendicare un’identità, più che per questioni teologiche. Il dialogo allora è necessario, e noi occidentali, noi cattolici, ne conosciamo i tracciati, il Concilio ci ha educati. Abbiamo testi che ci aiutano a pensarlo. Ma nell’Islam una teologia del dialogo non esiste, esiste solo la buona volontà. Da qui l’importanza dell’incontro tra il papa e l’imam della mosche di Al-Azhar, Ahmad al Tayyib: che si siano trovarti a scrivere e firmare un testo insieme, significa una possibilità concreta, esperienziale. Un passo che lascerà il segno sulla via non della tolleranza: nella tolleranza cova l’indifferenza. L’esistenza di qualcuno si tollera o si ama. Cerchiamo il rispetto, che no significa essere d’accordo, ma imparare a vivere insieme.
7 Giugno 2019