Carlo Lucarelli a Soul sabato 6 luglio ore 20.45

Carlo Lucarelli. Il nostro giallista più amato, non solo scrittore, ma conduttore e regista, sceneggiatore, poliedrico e appassionato comunicatore di storie e di Storia: ha indagato i casi di cronaca nera più perturbanti, ha raccontato i misteri inevasi della politica e della criminalità del nostro paese, mai distaccato da un impego civile che si deve a chiunque abbia responsabilità comunicative, con la penna e con l’immagine. Con un aspetto tanto rassicurante, così solare, è un uomo abituato a frequentare la paura. Che non teme, perché la considera una chiave per approfondire i misteri, e ultimamente il mistero dell’uomo, della sua psiche. Lucarelli che passa dal tragico al comico, che sa immedesimarsi nelle parodie di se stesso, (memorabile quella di Fabio De Luigi…) diventare un fumetto col suo volto, giocare con le sue gemelline, insegare scritta ai detenuti, accompagnare i ragazzi delle scuole in visita ai campi di concentramento nazisti, e salire come niente fosse al suo tavolo di lavoro per sprofondare nel torbido del noir più inquietante…una bella persona, oltreché una bella fantasia e una bella scrittura. Un racconto inedito, sincero, divertente e di peso.

Manuel Cotelo a Soul domenica 7 luglio ore 20.30

La storia di un giovane prete. Un’indagine sulla Madonna. Le orme che portano a Santiago de Compostela. E ora un’inchiesta sulla possibilità del perdono. Come faccia un regista oggi ad avere successo con temi così, è un mistero. Eppure Manuel Cotelo è un caso, che dalla sua Spagna arriva un po’ ovunque, anche da noi: non lo trovate nelle sale della grande distribuzione, perché si produce e si distribuisce da solo e diffonde per contagio, grazie al passaparola in teatri poco off e molto carbonari, molto cattolici. E ci dispiace per gli altri, perché Cotelo, giornalista, volto noto della tv nel suo paese, accademico delle scienze e delle arti, stupisce, commuove, fa pensare, sorridere.
Qualche anno fa si era presentato con L’ultima cima: un “cura”, un prete, che amava stare coi giovani e la montagna. Muore a 40 anni sulla vetta del Moncajo, e cambia il cuore di chi lo conosceva, Manuel compreso. Dov’è morte il tuo trionfo, se la speranza e la certezza del per sempre ti sopravanzano?
Il suo ultimo film, Il miglior regalo , è destinato ancora a colpire, e porre domande. È possibile che il dolore più ingiusto e crudele possa essere redento già qui, e da noi, poveri uomini e donne feriti? Ha senso per le vittime perdonare i carnefici? È impossibile, irrealistico, visione di qualche mistico, o follia. Cotelo va in cerca proprio dei folli di Dio, e li racconta, porta la loro testimonianza a scontrarsi col nostro buonsenso e la nostra coscienza. Incontra Tim Guénard, che oggi cura le sue viti in Provenza, ma è stato un bambino abbandonato, picchiato, e un ragazzo violento, che voleva uccidere suo padre. Racconta di Irene Villa, splendida giovane donna e madre, campionessa di sci paralimpico, leggiadra sulle piste come nelle parole dolcissime che regala in mille testimonianze: ha perso le gambe, da piccola, per una bomba esplosa per colpire sua madre, funzionaria di stato. Un uomo e una donna che potrebbero odiare, e con ragione. Ma hanno scelto di perdonare, e di riprendersi una vita che l’odio avrebbe distrutto.
Facciamo un passo indietro: tocca premettere che questo regista anomalo non tocca mai corde buoniste, sentimentali o peggio bigotte. Gli piace far vincere i buoni, questo sì. Basta vedere la cornice, in cui incastona le storie cercate in giro per il mondo: lo sterrato polveroso del classico villaggio western, quello all’italiana, però: saloon fumosi, malandrini sbruffoni, sceriffi col baffo pendulo e pellerossa saggi che parlano col verbo all’infinito. Una parodia, per visualizzare un mondo in cui la giustizia è fai da te, in cui vince chi spara meglio, e si muore in tanti, per un colpo partito dietro all’ultimo bicchiere, per vendette ataviche che trascinano generazioni, padri e figli e nipoti. Il regista dirige le riprese, e prova a cambiare il finale, ma ha bisogno di prove, di testimoni, di un lieto fine possibile e non solo nei film zuccherosi. Sale a cavallo e il Far West si dilata nelle foreste della Colombia, dove i guerriglieri delle Farc, con centinaia di omicidi addosso, si inginocchiano e ricevono la pace dai parenti di chi hanno crudelmente ucciso. Si colora di verde nelle dolci colline del Rwanda, teatro del genocidio più efferato e trascurato della storia moderna: oggi la pace è realtà, hutu e tutsi convivono, piangendo insieme i loro morti, grazie al metodo della giustizia riparativa, rubato ai cristiani e trasformato in programma di governo.
L’eroico diventa quotidiano e il quotidiano eroico: in nome di Dio si può, se Dio non è una parola o un idolo, ma un’esperienza. Si può perfino imparare a riamarsi, quando troppi silenzi e tradimenti feriscono vite che si erano promesse l’unità, in eterno, perché il nostro più acerrimo nemico può essere l’amato.
Lo scandalo della misericordia è alla nostra portata: non è una strada piana, e richiede tempo e pazienza, anche verso la propria debolezza, ma accettare la sfida sorprende, fa crescere in umanità e apre il varco alla felicità. Se un film ti regala questi pensieri, è un film che fa del bene. Se poi sa miscelare i toni drammatici con l’umorismo, l’emozione alla sana risata, siamo nella miglior tradizione cattolica. Un tal celebre scrittore ricordava che gli angeli possono volare perché non si prendono troppo sul serio.

 

5 Luglio 2019