Papa Francesco negli Emirati Arabi: la conferenza stampa sul volo di ritorno
Trascrizione integrale
Fonte: Vatican News
«È stato un viaggio troppo breve ma per me è stata un’esperienza grande. Io penso che ogni viaggio sia storico e anche che ogni nostro giorno sia per scrivere la storia quotidiana. Nessuna storia è piccola, ogni storia è grande e degna. E anche se è brutta, la dignità è nascosta e sempre può emergere». Con queste parole Papa Francesco ha introdotto il suo lungo colloquio con i giornalisti che lo hanno accompagnato negli Emirati. Il Papa ha parlato a lungo del dialogo con i musulmani, ma ha anche risposto a domande sul Venezuela e sulla lettera inviata in Vaticano da Nicolas Maduro, come pure degli abusi dei chierici sulle religiose.
Quali saranno i risultati prossimi di questo viaggio e quale impressione ha avuto sul Paese?
«Ho visto un paese moderno, mi ha colpito la città. Anche la pulizia della città, mi sono chiesto come fanno ad annaffiare i fiori in questo deserto. È un Paese moderno, accoglie tanti popoli ed è un Paese che guarda al futuro: per esempio nell’educazione dei bambini. Educano guardando al futuro. Poi mi ha colpito il problema dell’acqua: stanno cercando per il prossimo futuro di prendere l’acqua del mare e renderla potabile, e anche l’acqua dell’umidità e farla potabile. Sempre cercano cose nuove. Ho anche sentito dire da loro: ci mancherà il petrolio, e ci stiamo preparando. Mi è sembrato un Paese aperto, non chiuso. Anche religiosità: è un islam aperto, di dialogo, un islam fraterno, di pace. Sottolineo la vocazione alla pace che ho sentito di avere, malgrado ci siano i problemi di alcune guerre nella zona. Per me molto toccante l’incontro con i saggi dell’islam, un incontro profondo, erano di diversi luoghi e di varie culture. Questo indica pure l’apertura di questo Paese a un certo dialogo regionale, universale, religioso. Sono stato colpito poi dal convegno interreligioso: è stato un fatto culturale forte. E l’ho menzionato nel discorso, quello che hanno fatto qui l’anno scorso sulla protezione dei bambini in Internet. La pedopornografia oggi è una “industria” che dà tanti soldi e approfittano dei bambini. Questo paese se n’è reso conto. Ci saranno anche cose negative… Ma grazie per l’accoglienza».
Come sarà applicata nel futuro la Dichiarazione sulla fratellanza?
«Il documento è stato preparato con tanta riflessione e anche pregando. Sia il grande Imam con la sua equipe, sia io con la mia, abbiamo pregato tanto per riuscire a fare questo documento. Perché per me c’è un solo grande pericolo in questo momento: la distruzione, la guerra, l’odio fra noi. Se noi credenti non siamo capaci di darci la mano, abbracciarci, baciarci e anche pregare, la nostra fede sarà sconfitta. Questo documento nasce dalla fede in Dio che è Padre di tutti e Padre della pace. Condanna ogni distruzione, ogni terrorismo, dal primo terrorismo della storia che è quello di Caino. È un documento che si è sviluppato in quasi un anno, con andata e ritorno, preghiere… è rimasto a maturare, un po’ confidenziale, per non partorire il bambino prima del tempo. Perché sia maturo».
È stato un viaggio pieno di incontri, impressioni, immagini. Mi è rimasto in mente l’arrivo: lei è stato accolto con onori militari, con gli aerei militari che facevano la scia con i colori vaticani nel cielo. Che cosa c’entra questo con Papa Francesco, che viene con un messaggio di pace? E per quanto riguarda l’appello per la pace nello Yemen, che reazioni ha ricevuto e quali reazioni fanno sperare per la pace?
«Io interpreto tutti i gesti di benvenuto come gesti di buona volontà. Ognuno li fa secondo le proprie culture. Ho trovato un’accoglienza così grande: volevano fare di tutto, piccole cose e grandi cose perché sentivano che la visita del Papa era cosa buona. Qualcuno ha detto anche una benedizione, Dio lo sa. Volevano far sentire che io ero benvenuto. Sul problema delle guerre: lei ne ha menzionato una. So che è difficile dare un’opinione dopo due giorni, e dopo aver parlato sull’argomento con poche persone. Dirò che ho trovato buona volontà nell’avviare processi di pace. Questo l’ho trovato come comune denominatore nelle cose di cui ho parlato a proposito delle situazioni belliche. Lei ha menzionato quella dello Yemen».
Dopo la firma storica ieri, secondo lei quali saranno le conseguenze nel mondo islamico, pensando soprattutto a Yemen e Siria? E quali conseguenze ci saranno tra cattolici, visto che c’è una parte di cattolici che accusa lei di farsi strumentalizzare dai musulmani?
«Mi accusano di farmi strumentalizzare, ma non solo dai musulmani! Da tutti, anche dai giornalisti! È parte del lavoro. Una cosa voglio dire e lo ribadisco chiaramente: dal punto di vista cattolico il documento non è andato di un millimetro oltre il Concilio Vaticano II. Niente. Il documento è stato fatto nello spirito del Vaticano II. Prima di prendere la decisione di dire: sta bene così, lo finiamo così, l’ho fatto leggere a qualche teologo e anche dal Teologo della Casa Pontificia che è un domenicano con la bella tradizione domenicana, non di andare alla caccia di streghe ma di vedere la cosa giusta. E lui ha approvato. Se qualcuno si sente male, lo capisco, non è una cosa di tutti i giorni, e non è un passo indietro. È un passo avanti che viene da 60 anni, il Concilio che deve svilupparsi. Gli storici dicono che perché un concilio abbia conseguenze nella Chiesa ci vogliono 100 anni, siamo a metà del cammino. È accaduto anche a me. Ho letto una frase del documento che mi ha sorpreso e mi sono detto: non so se è sicura. Invece era una frase del Concilio! Nel mondo islamico ci sono diversi pareri, alcuni più radicali, altri no. Ieri nel Consiglio dei saggi c’era almeno uno sciita e ha parlato bene. Ci saranno discrepanze tra loro… ma è un processo, i processi devono maturare, come i fiori, come la frutta».
Lei ha appena concluso la visita negli Emirati e fra pochissimo andrà in Marocco. Ci sembra di capire che ha scelto di parlare con interlocutori ben precisi dell’islam. Il suo documento è ambizioso sull’educazione, può toccare i fedeli…
«Ho sentito dire da alcuni musulmani che va studiato nelle università, almeno in Al-Azhar di sicuro, e nelle scuole. Va studiato, non imposto. È un po’ un caso la vicinanza dei due viaggi. Io volevo andare all’incontro a Marrakech (la Conferenza Intergovernativa sulle migrazioni, nel dicembre 2018, ndr), ma c’erano delle questioni protocollari, non potevo andare all’incontro senza fare una visita al Paese. E per questo abbiamo rimandato la visita e ora è in coincidenza con questo viaggio. E il Segretario di Stato è andato a Marrakech. È stata una questione diplomatica e di educazione, la vicinanza delle date non è stata una cosa pianificata. Ma anche in Marocco io seguo le tracce di san Giovanni Paolo II, che è stato il primo ad andarci. Sarà un viaggio piacevole. Ho ricevuto inviti di altri Paesi arabi, e vedremo il prossimo anno, e io o un altro Pietro. Qualcuno ci andrà».
La diplomazia vaticana dei piccoli passi ha una lunga storia. E nel 1978 ha mediato tra Argentina e Cile: Giovanni Paolo II evitò una guerra tra i due Paesi. Abbiamo saputo ieri che dal Venezuela Nicolas Maduro le ha inviato una lettera per ricominciare il dialogo. Che sta facendo o che pensa di fare? È disposto a mediare?
«La mediazione tra Argentina e Cile è stato un atto coraggioso di san Giovanni Paolo II, che ha evitato una guerra. Ci sono dei piccoli passi, e l’ultimo è la mediazione. Ci sono passi iniziali, facilitatori, non solo per il Vaticano ma in tutta la diplomazia. Si fa così in diplomazia. Credo che dalla Segreteria di Stato potranno spiegare tutti i passi. Ho saputo prima del viaggio che arrivava col plico diplomatico una lettera di Maduro. Non l’ho ancora letta, vedremo che cosa si può fare. Ma perché si faccia una mediazione, ci vuole la volontà di ambedue le parti, che siano ambedue le parti a chiederla. La Santa Sede nel Venezuela è stata presente nel momento del dialogo in cui c’erano (l’ex premier spagnolo) Zapatero e mons. Tscherrig e poi ha continuato con mons. Celli. E lì è stato partorito un topolino. Adesso vedrò quella lettera, vedrò che cosa si può fare. Ma a condizioni che lo chiedano ambedue le parti. Io sono sempre disposto. Quando la gente va dal curato perché c’è un problema tra marito e moglie, prima va uno. Ma si chiede: l’altra parte vuole o non vuole? Anche per i Paesi questa è una condizione che li deve fare pensare prima di chiedere una facilitazione, o una mediazione. E andrò in Spagna».
All’incontro con gli anziani, di che cosa avete parlato? Il suo messaggio è arrivato?
«Gli anziani davvero sono saggi. Ha parlato prima il Grande Imam, poi ognuno di loro, cominciando dal più anziano che parlava lo spagnolo perché era dalla Mauritania e lì lo aveva imparato. Fino al più giovane che è il segretario ma ha detto tutto in un video. Mi è piaciuto, la specialità di due comunicatori. La parola chiave è saggezza e poi fedeltà. Poi hanno sottolineato un cammino della vita nella quale questa saggezza cresce e la fedeltà si fa forte e da lì nasce l’amicizia tra i popoli. Uno di loro era sciita, altri con diverse nouances. Il cammino di saggezza e fedeltà ti porta a costruire la pace, che è vera opera di saggezza e fedeltà. Sono rimasto con l’impressione di essere in mezzo a veri saggi. Sono stato molto soddisfatto».
Oggi una ragazzina ha passato le transenne ed è corsa da lei per portarle una lettera. Volevamo sapere se l’aveva già letta.
«Non ho avuto tempo. Le lettere sono lì, e la leggerò. Quella bambina è una coraggiosa! Quella bambina ha futuro e oserei dire: povero marito! Coraggiosa, mi è piaciuto. E poi un’altra l’ha seguita! Che bello…».
Il Grande Imam Al-Tayyib ha sottolineato il tema dell’islamofobia. Perché non si è sentito anche dire qualcosa sulla cristianofobia, sulla persecuzione dei cristiani?
«Io ne ho parlato. Non in quel momento, ma sto parlando frequentemente di questo. Credo che il documento fosse più di unità e di amicizia. Ma condanna la violenza e alcuni gruppi che si dicono islamici – anche se i saggi dicono che quello non è islam – perseguitano i cristiani. Ricordo quel papà a Lesbos con i suoi bambini. Aveva trent’anni, piangeva e mi ha detto: io sono musulmano, mia moglie era cristiana e sono venuti i terroristi dell’Isis, hanno visto la sua croce, le hanno chiesto di convertirsi e dopo il suo rifiuto l’hanno sgozzata davanti a me. Questo è il pane quotidiano dei gruppi terroristici: la distruzione della persona. Per questo il documento è stato di forte condanna».
Lei parla di libertà religiosa e ha ricordato che la libertà religiosa va oltre quella di culto. Oggi stiamo tornando da un Paese conosciuto per la sua tolleranza, ma molti dei cattolici che oggi erano allo stadio, per la prima volta arrivando negli Emirati hanno potuto celebrare apertamente la loro fede.
«Ogni processo ha principi, c’è un prima e un dopo, ma senza fermarsi. Mi ha impressionato un colloquio con un ragazzo di 13 anni avvenuto a Roma. Mi ha detto: “Alcune cose che lei dice mi sembrano interessanti, ma io le voglio dire che sono ateo: che cosa devo fare come ateo per diventare uomo di pace?”. Gli ho detto: fa quello che tu senti, gli ho parlato un po’. Mi è piaciuto il suo coraggio. È ateo ma cerca il bene, e anche questo è un processo. Dobbiamo rispettare e accompagnare tutti i processi, siano dei colori che siano. Questi credo che sono passi in avanti».
La rivista femminile dell’Osservatore Romano ha pubblicato un articolo denunciando l’abuso sessuale delle donne consacrate nella Chiesa da parte del clero. Qualche mese fa anche L’Unione delle Superiore generali ha fatto una denuncia pubblica. Sappiamo che la prossima riunione in Vaticano sarà sull’abuso sui minori, ma possiamo pensare che la Santa Sede possa fare qualcosa per affrontare anche questo problema con un documento o delle linee guida?
«È vero, è un problema. Il maltrattamento delle donne è un problema. Io oserei dire che l’umanità ancora non ha maturato: la donna è considerata di “seconda classe”. Cominciamo da qui: è un problema culturale. Poi si arriva fino ai femminicidi. Ci sono dei Paesi in cui il maltrattamento delle donne arriva al femminicidio e prima di arrivare alla sua domanda concreta, una curiosità. Voi fate l’indagine per sapere se è vero ma mi hanno detto che l’inizio della storia dei gioielli femminili è avvenuto in un Paese antichissimo dell’Oriente, dove c’era la legge di cacciare via, ripudiare la donna. Se il marito – non so se è vero no – le diceva: vattene via, in quel momento con quello che aveva addosso, lei doveva andarsene senza prendere niente. E lì hanno cominciato a farsi gioielli di oro e pietre preziose, per avere qualcosa per poter sopravvivere. È vero, dentro la Chiesa ci sono stati dei chierici che hanno fatto questo. In alcune civilizzazioni in modo più forte che in altri. Ci sono stati sacerdoti e anche vescovi che hanno fatto quello. E io credo che si faccia ancora: non è che dal momento in cui tu te ne accorgi, finisce. La cosa va avanti così. È da tempo che stiamo lavorando in questo. Abbiamo sospeso qualche chierico, mandato via, e anche – non so se è finito il processo – sciogliere qualche congregazione religiosa femminile che era molto legata a questo fenomeno, una corruzione. Si deve fare qualcosa di più? Sì. Abbiamo la volontà? Sì. Ma è un cammino che viene da lontano. Papa Benedetto ha avuto il coraggio di sciogliere una congregazione femminile che aveva un certo livello, perché c’era entrata questa schiavitù, persino sessuale, da parte dei chierici o da parte del fondatore. A volte il fondatore toglie la libertà alle suore, può arrivare a questo. Vorrei sottolineare che Benedetto XVI ha avuto il coraggio di fare tante cose su questo tema. C’è un aneddoto: lui aveva tutte le carte su una organizzazione religiosa che aveva dentro corruzione sessuale ed economica. Lui provava a parlarne e c’erano dei filtri, non poteva arrivare. Alla fine il Papa, con la voglia di vedere la verità, ha fatto una riunione e Joseph Ratzinger se né andato lì con la cartella e tutte le sue carte. Quando è tornato, ha detto al suo segretario: mettila nell’archivio, ha vinto l’altro partito. Non dobbiamo scandalizzarci per questo, sono passi di un processo. Ma appena diventato Papa, la prima cosa che ha detto è stata: portami dall’archivio questo. Il folklore lo fa vedere come debole, ma di debole non ha niente. È un uomo buono, un pezzo di pane è più cattivo di lui, ma è un uomo forte. Su questo problema: preghi che possiamo andare avanti. Io voglio andare avanti. Ci sono dei casi. Stiamo lavorando».
5 Febbraio 2019